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Troppe comunicazioni aumentano solo la paura: la profezia di Legrenzi

Impauriti, ma soprattutto disorientati per la grande confusione di messaggi nell’affrontare un nemico invisibile che non si sa quando sia arrivato e quando se ne andrà. È il ritratto degli italiani nei giorni della pandemia a cui Paolo Legrenzi dedica il libro «Paura, panico, contagio» (Giunti, pp. 112, 10 euro, ebook 6,99), un vademecum per gestire le paure senza sottovalutare i pericoli. «Adesso dobbiamo convivere con la vulnerabilità», dice Legrenzi, uno dei massimi esperti a livello internazionale in psicologia del pensiero. Nel libro viene fatto anche un excursus storico sulle epidemie, vengono messi in evidenza gli errori commessi nel gestire l’emergenza e dati alcuni suggerimenti per non cedere al panico. «Troppe comunicazioni e troppo discordanti e troppo contraddittorie e da troppe fonti e in troppo poco tempo. Non percepire più la realtà del pericolo è drammatico, ma è esattamente quello che è accaduto», spiega Legrenzi, professore emerito di psicologia all’Università Ca’ Foscari di Venezia. «Nei momenti di emergenza, di pericolo, nelle guerre, ci vuole un portavoce unico per la comunicazione. Esiste una tradizione di studi che si è posta questo problema in frangenti di crisi analoghe. Per il nostro governo gli esperti sono stati i virologi, i medici e gli studiosi di modelli statistici, ma non hanno mai cercato una persona esperta di comunicazione. Non c’è stata una procedura interna e collaudata per i momenti di crisi in cui si sa chi parla e di che cosa. Lo strumento che hanno utilizzato è stato il senso comune». Una scelta che ha portato alla mancanza di indicazioni chiare, come è accaduto nel caso dell’utilizzo delle mascherine, che però lo studioso non critica perché «ci vuole un livello minimo di conoscenza per accorgersi di questa impreparazione e dunque c’è l’assoluzione per non aver compreso il fatto. Manca una formazione in questo senso». Certo, affidarsi totalmente alla scienza è, secondo lo psicologo del pensiero, «un errore. Perché la scienza dice “non so, quando non sa“ e sono tanti i punti di vista». Ma avere un addetto alla comunicazione unico funzionerebbe in un mondo dominato dai social? «I social sono un rumore di fondo che non si può eliminare, però ci sono diversi livelli di autorevolezza nella comunicazione. In una situazione con molti scambi di informazioni che non si controllano a maggior ragione ci vuole una gerarchia di autorevolezza. La credibilità del governo deve essere sopra a questo rumore di fondo». Legrenzi precisa anche che non siamo in una «situazione di guerra ma di forte tensione. Quando ci sono tensioni sulle scelte non devono però trapelare. È come quando un padre e una madre devono prendere una decisione per un bambino ma hanno opinioni diverse, non devono farlo capire al loro figlio perché perderebbero autorevolezza. Sono gli elementi di base della comunicazione». Che sia stata una «pessima idea delegare alla scienza la comunicazione si vedrà», dice Legrenzi, «ancora più chiaramente nella cosiddetta fase 2 dell’emergenza, quella economica. L’assenza di una regia unica e di una strategia unica sarà molto difficile. Non si potrà più dire “lo hanno detto gli esperti“. Il premier Conte ha preso una linea sopra le parti. È andata bene fino a questa prima fase, ma sarà molta dura nella fase dei sacrifici economici, che sarà molto lunga rispetto a quella biologica», sostiene lo psicologo. Che è poi quel che si sta vedendo in queste ore concitate, dopo l’annuncio della Fase 2. «Le paure non hanno nessun rapporto con il pericolo e bisogna ridurle», clunde Legrenzi. «Il Covid-19 è terribilmente pauroso perché non è sotto il nostro controllo. Ci sono situazioni in cui abbiamo troppa paura e altre in cui ne abbiamo troppo poca. Appena ci saranno i primi segnali dello scampato pericolo ci sarà un grande sollievo, infondato come la grande paura».

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