<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

TRIESTE, LE STATUE CHE PARLANO VERONESE

I fasti di un passato scolpiti nella pietra, in quelle statue che guardano al mare dall’alto delle imponenti facciate di palazzi anch’essi eleganti tracce di una storia di traffici mercantili, di rotte commerciali e ambizioni imperiali. Raccontano questa storia, eroi e divinità dell’antichità greca da cornicioni e fregi, ed è proprio attraverso il loro sguardo silente e inosservato che il giornalista Paolo Possamai ricostruisce il passato del porto di frontiera italiano in «Nettuno e Mercurio. Il volto di Trieste nell’800 tra miti e simboli», Marsilio Arte edizioni. Città «inventata» - la definisce Possamai - da Maria Teresa d’Austria, che a metà Settecento ne volle fare il porto dell’impero asburgico, Trieste nasce con un destino legato al mare, all’emporio e ai commerci con l’Oriente. Destino rivendicato in ogni dove: sui palazzi dei mercanti, delle pubbliche istituzioni, delle compagnie assicurative, ma anche di teatri e alberghi, in fregi, bassorilievi, file di statue sui cornicioni dei tetti, portoni istoriati che tra simboli, metafore, allegorie richiamano all’identità laica, civile e imprenditoriale della città. I mercanti Di questo apparato scultoreo, sono autori i maestri delle arti migrati da Venezia a Trieste, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, con la caduta della Serenissima. L’innesco è quello, invece, del mercante greco Demetrio Carciotti che, con l’architetto Matteo Pertsch, concepisce la sua casa fondaco come una sorta di dimora del principe. Continua su questa strada una sequela di emuli, tra mercanti, uomini di finanza e di governo e padroni di bastimenti nella città porto dell’Impero. Ne nasce un “belletto” neoclassico sul volto di Trieste steso anche dalla mano dello scultore di origini veronesi Pietro Zandomeneghi. C’è la sua arte nel fastigio del Tergesteo, nella facciata su piazza della Borsa con l’allegoria della città di Trieste tra Mercurio e un bambino. Fatto costruire dalla società di azionisti del Tergesteo (che significa «Palazzo di Trieste»), come luogo di commercio e di incontro della popolazione, e sorto, tra il 1840 e il 1842, viene costruito di fianco alla Borsa, in quattro corpi adibiti a uffici e divisi da una galleria a croce greca, un passeggio coperto con negozi. Nella casa degli affari e dell’economia, secondo le linee di Francesco Bruyn e Andrea Pizzala, non si prevedono, dapprima, gruppi statuari che sono invece un ripensamento ex post per il quale, l’architettura spoglia e semplice, dall’uniformità rigorosa di gusto calvinista dei commercianti promotori, ammette due significative concessioni alla retorica mitologica. Una di queste, quella in affaccio alla piazza della Borsa, è firmata appunto da Zandomeneghi (Venezia 1806-1886), figlio di Luigi Zandomeneghi nato a Colognola ai Colli il 20 febbraio 1779, allievo, quest’ultimo, del Canova, e molto attivo soprattutto a Venezia (suoi i decori del salone della Fenice dopo l’incendio del 1836). Padre e figlio, insieme firmano anche il monumento funebre di Tiziano a Santa Maria dei Frari a Venezia. Simbologie Il fastigio del Tergesteo mette in scena la Città di Trieste, impersonata dalla ninfa del mare Teti, figlia di Nereo e madre di Achille, ritta su una conchiglia trainata da quattro cavalli, simbolo del mare da cui discendono le glorie di Trieste: a destra compare Mercurio, dio del commercio; fra le braccia della ninfa il bimbo che rappresenta il nascere dell’Industria. Ma la mano di Zandomeneghi la si trova anche nella splendida piazza Unità d’Italia nel fastigio di palazzo Stratti sopra la scritta delle Assicurazioni Generali, proprietarie dell’immobile dal 1846. Anche in questo caso la statua femminile rappresenta la città di Trieste con i simboli delle sue fortune - arte, industria, commercio e navigazione - e del progresso. Ai suoi piedi ci son infatti utensili, una pinza, un’ancora, incudine e martello, attrezzi da lavoro e una locomotiva. Dall’altro lato è affiancata dai richiami alle arti: colonna e capitello corinzi, cetra e busto antico, una tavolozza. E una civetta, allusione a Minerva, simbolo della ragione e della sapienza. Intraprendenza «Colpisce», scrive Possamai, «il gesto della figura che personifica la Città di Trieste: le braccia sono allargate, la mano sinistra prossima agli strumenti di lavoro e di costruzione della ricchezza, la mano destra levata sui segni della cultura che dai commerci e dalla intraprendenza imprenditoriale - quando sono lungimiranti - trae alimento». Zandomeneghi lavora, negli anni Quaranta dell’Ottocento, a entrambe le statue di Trieste per il Tergesteo e per il mercante Stratti in due cantieri contigui. Allegorie e richiami all’antichità classica sono inequivocabili insegne che istituzioni imprenditoriali e famiglie triestine esibiscono pur sotto la cattolicissima Austria. «La classe mercantile è disinibita», conclude Possamai nel suo saggio accompagnato da un notevole apparato iconografico e fotografico che illustra palazzi, facciate e particolari di gruppi scultorei e fregi, rendendo loro onore, «e in questa sorta di teatro urbano affollato di statue non chiama in causa santi patroni, piuttosto dichiara, per simboli legati alla mitologia greca, la propria proiezione esistenziale, il proprio destino. Che è un destino», precisa Possamai, «ricercato nella libertà e nel rischio dei commerci, dell’intrapresa, del navigare». •.

Maria Vittoria Adami

Suggerimenti