<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Toscanini, il genio della musica
che detestava concedere il bis

Una copertina della Domenica del Corriere dedicata a Toscanini
Una copertina della Domenica del Corriere dedicata a Toscanini
Una copertina della Domenica del Corriere dedicata a Toscanini
Una copertina della Domenica del Corriere dedicata a Toscanini

Durante una delle sue famose sfuriate contro i musicisti della Nbc Orchestra (nel corso delle quali si inalberava usando un mix di inglese, italiano e dialetto parmigiano), Arturo Toscanini arrivò alla più colorita delle minacce: «Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!». Sono passati sessant’anni da quando uno dei più grandi direttori di tutti i tempi si è spento, poco prima di compierne novanta, nella sua villa newyorkese di Riverdale (il 16 gennaio 1957) e, anche se sembra che la profezia non si sia mai concretizzata, non c’è dubbio che il 2017 sia l’anno perfetto per rendere omaggio al genio di Toscanini, in quanto cadono l’anniversario della scomparsa e il 150esimo della nascita (a Parma il 25 marzo 1867).

La famiglia Toscanini aveva due caratteristiche: l’amore patriottico per la libertà (il padre Claudio aveva conosciuto la guerra e il carcere per via della sua fede garibaldina) e la passione per la musica classica. Il giovane Arturo le abbracciò entrambe. La prima lo portò a schierarsi contro il fascismo (nel 1931 il rifiuto di eseguire «Giovinezza» e la Marcia Reale al Teatro Comunale di Bologna gli costò l’aggressione delle camicie nere e una gogna mediatica) e il nazismo (dopo l’ascesa di Hitler lasciò i festival di Bayreuth e Salisburgo), spingendolo ad abbandonare l’Italia per l’America, salvo poi tornare nel 1946 per fare due cose fondamentali: votare a favore della Repubblica e dirigere l’evento di riapertura del Teatro alla Scala l’11 maggio, passato alla storia come il Concerto della Liberazione.

La seconda lo indirizzò verso gli studi di armonia, composizione e violoncello al Conservatorio di Parma. Proprio in qualità di violoncellista venne scritturato nel 1886 per «Aida» a Rio de Janeiro, ma quando il direttore designato, Leopoldo Miguez, abbandonò il podio, fu il diciannovenne Toscanini a prendere in mano la bacchetta e a condurre l’opera, tutta a memoria. Iniziò così quella carriera leggendaria (segnata da una costante ricerca della perfezione, unita alla caparbia volontà di trasmettere la propria visione all’orchestra) destinata a farne un mito. Pur avendo doti mnemoniche incredibili e un’eccezionale sensibilità musicale, Toscanini sosteneva: «Il mio segreto è semplicissimo: consiste nel far eseguire la musica, nota per nota, quale fu scritta dall’autore».

Insisteva sulla cura dei minimi dettagli, spremeva cantanti e strumentisti al massimo e non tollerava alcuna esecuzione approssimativa perché «suonare pressappoco è orribile. Tanto vale suonare male!». Fra le numerose opere da lui tenute a battesimo spiccano quelle degli amici Ruggero Leoncavallo («Pagliacci», 1892) e Giacomo Puccini («La bohème», 1896, «La fanciulla del West», 1910 e «Turandot», 1926, in occasione della quale posò la bacchetta a metà del terzo atto, affermando: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto»), senza contare le prime italiane di Wagner, autore con cui, il 26 dicembre 1898, inaugurò l’epoca «Toscanini alla Scala» e che, insieme a Verdi e a Beethoven, fu uno dei suoi prediletti.

Delle esibizioni dal vivo, però, Toscanini detestava due rituali: gli applausi a scena aperta e le richieste di bis in corso d’opera, entrambi colpevoli di interrompere la linea musicale. Mise in chiaro le cose sin dal 1887, quando, in occasione della «Gioconda» diretta a Casale Monferrato, si rifiutò di concedere il bis e il pubblico, abituato a essere sempre esaudito, minacciò una rivolta. Lui incrociò le braccia e attese che gli spettatori si calmassero. Pensando di smuoverlo, un militare in alta uniforme ebbe la pessima idea di dirgli: «Siete un giovane impudente». Al che Toscanini si girò di scatto, replicando: «Chiudi il becco, cane che non sei altro!». Placatisi gli animi, l’opera riprese senza alcun bis e nessuno osò più domandarne.

Eppure, al di là del carattere focoso, Toscanini rimase un uomo semplice («La prima qualità d’un direttore? L’umiltà») e autocritico («Se qualcosa non va è perché io non ho capito bene l’autore. Tutta colpa mia»), nel segno di quella che Gustavo Marchesi ha definito «una vita per la musica, vissuta in modo che la musica diventi necessaria alla vita».

Angela Bosetto

Suggerimenti