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Gli apostoli come attori di teatro

Il vangelo si fa leggero nel libro di don Marco Campedelli

I testi evangelici messi in dialogo con l'opera di Dario Fo e Franca Rame
Don Marco Campedellli, autore de Il vangelo secondo Dario Fo FOTO MARCHIORI
Don Marco Campedellli, autore de Il vangelo secondo Dario Fo FOTO MARCHIORI
Don Marco Campedellli, autore de Il vangelo secondo Dario Fo FOTO MARCHIORI
Don Marco Campedellli, autore de Il vangelo secondo Dario Fo FOTO MARCHIORI

Tra le virtù che, nelle sue ormai lontane Lezioni Americane del 1985, Italo Calvino si augurava potessero accompagnare il nuovo millennio, allora ancora tutto da iniziare, veniva indicata come prima fra tutte la “leggerezza”: la leggerezza del poeta Guido Cavalcanti, narrato da Boccaccio, che «sì come colui che leggerissimo era» si libera con un balzo dalla presenza dei giovani e presuntuosi cavalieri che lo avevano raggiunto, pensieroso e assorto, presso la Porta di San Giovanni.

 

La leggerezza di Guido, il balzo, la piroetta: gli stessi gesti che a ben pensarci sono anche dei giullari, dei guitti, dei buffoni, di tutti coloro che, in modo imprevisto e disorientante, hanno scansato i luoghi comuni e che, con parole leggere, hanno rivolto sul mondo uno sguardo eccentrico e inatteso.

 

Ed è con questa leggerezza, capace di far volare in un motto di spirito o in una immagine aerea le cose importanti della vita e sulla vita, che si muovono scrittura e narrazione dell’originale libro di Marco Campedelli Il vangelo secondo Dario Fo: Dario Fo, maestro insuperabile di leggerezza, di una parola imprendibile e libera mai stanca di provocare con il riso i poteri, pesanti e paludati, che da sempre hanno oppresso con la loro parola imperiosa la vita degli uomini, spesso dei più fragili e degli ultimi.

 

Il libro prende slancio, proprio come in una sorta di scarto giullaresco, da un personale ricordo dell’autore che, in un incontro avvenuto al Castello di Sorrivoli, aveva chiesto a Dario Fo se Gesù e gli Apostoli non potessero, in fondo, essere pensati e visti come una specie di compagnia di teatro che, di strada in strada e di piazza in piazza, avesse annunciato la rivoluzione operata appunto dalle cose leggere: un regno nei cieli senza peso e fondamenta, un chicco grano, un seme di senape, una manciata di lievito.

 

I racconti dei Vangeli, quindi, come una drammaturgia immersa nel gran teatro del mondo che ne rovesci, però, valori e prospettive: è lungo questa suggestione tutta teatrale, senza mai rinunciare alla cifra comica e ai vagabondaggi nell’attualità declinati in una scrittura agile e a tratti intensamente poetica, che il libro di Marco Campedelli propone quindi una scelta dei testi teatrali più noti di Dario Fo, da Mistero buffo fino a Lu Santo Jullare Francesco, messi in dialogo costante con i testi evangelici.

 

Dialogo fecondo, coinvolgente, talora drammatico e commovente come nelle pagine dedicate a Maria, che, sotto un’attenta regia narrativa, restituisce e rivaluta innanzitutto la potenza e la qualità letteraria e testuale dell’opera di Dario Fo, certamente più rappresentata e goduta in scena che in generale apprezzata nella lettura, riproponendone la potenza dissacratoria e lo sguardo straniante.

 

La filigrana evangelica che il libro sottende alla rilettura dei testi di Fo disvela, inoltre, e restituisce a questi ultimi l’implicita e tuttavia potentissima spinta utopica e la spiazzante provocazione teologica lontana da ogni teologia e dogma. Contemporaneamente, il libro di Marco Campedelli, proprio attingendo alla forza della drammaturgia di Dario Fo, svolge, ora in controluce ora in maniera diretta, un attraversamento dei testi dei Vangeli capace di sottrarli al loro reimpiego moralistico che ha trasformato il “teatro di strada” delle predicazione originaria di Gesù in una specie di “teatro parrocchiale” bigotto e quieto, ritrovando così esattamente quello che per secoli l’uso dottrinale ed ecclesiastico delle parole evangeliche aveva loro sottratto: la corporeità, il corpo, fatto di sangue ed emozioni, di desiderio e di passione da cui le parole traggono origine e verità.

 

Senza corpo non c’è sicuramente teatro, ma senza corpo, sembra dirci il libro, non ci possono essere nemmeno salvezza e redenzione. In maniera coinvolgente e talora irriverente, il libro regala quindi al lettore un’occasione inaspettata e preziosa, dal momento che la provocazione che il teatro di Fo rivolge a chi ha fatto delle parole di Gesù un prontuario di esercizio moralistico, riporta, con una leggerezza davvero insostenibile per le scenografie e le impalcature dottrinali, al senso sempre eccentrico, irregolare e provocatorio di quelle parole. Ma siccome ogni giullare sa bene che il primo a non dover essere preso troppo sul serio è lui stesso, così il libro di Marco Campedelli non cede nel suo intero svolgersi alla tentazione delle conclusioni saggistiche e giunge a proporre proprio nel finale una sorta di gran fantasia alla maniera di un racconto giullaresco di strada.

Gesù è stato appena deposto dalla croce, ultima scena di una rappresentazione scandalosa e inaccettabile, scena della quale tuttavia qualcuno è già pronto ad impossessarsi per porre opportune “regole a Dio”; costoro, tra paramenti e solennità, già pongono le fondamenta del “partito moderato” che vorrà governare da lì in avanti l’interiorità e la coscienza degli uomini: “Il nostro compito – si legge – non è quello di credere all’amore, ma di badare all’amore. Che l’amore non si moltiplichi, non dilaghi per la terra seminando felicità. Noi siamo i guardiani della follia di Dio”. Ma mentre questo accade, ecco che “all’orizzonte si vedono ora salire la collina donne e uomini. Anche i bambini.

 

Sono i personaggi delle Compagnia”: e assieme a loro, generati sulla scena del libro dalle pagine dei Vangeli, la Maddalena, la donna Cananea, il Samaritano, il Cieco nato e, ancora, in un crescendo fantastico e teatrale, ne seguono altri usciti da quella biblioteca e cineteca di irregolari e strambi, di attori e registi stralunati cui il libro di Marco Campedelli assegna e riconosce l’appartenenza alla Compagnia del teatro di strada di Gesù. E tra loro, introdotti da un giullare, ecco anche loro, Dario Fo e Franca Rame, proprio lì dove il lettore, incamminatosi forse anche lui pagina dopo pagine del libro sulle tracce della stessa Compagnia, non poteva davvero non immaginarli e attenderli.

Roberto Fattore, dirigente scolastico liceo "Scipione Maffei"

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