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«LATINITAS».

Ravasi rivela: errori di latino nelle dimissioni di Ratzinger

In latino sono molti contenuti, i titoli, gli indici e la dedica a papa Francesco, «Urbis episcopo Ecclesiaeque pastori», vescovo di Roma e pastore della Chiesa. Se fu Benedetto XVI a istituire la Pontificia Academia Latinitatis, l'attività continua con il successore: esce infatti il primo numero della nuova serie per la rivista semestrale Latinitas. Il latino resta lingua ufficiale della Chiesa. In latino sono i documenti dottrinali e la liturgia (poi tradotta nelle varie lingue), ma il latino si sta rivelando efficace anche su Twitter (papa Francesco ha 182.455 followers, anzi adepti) ed è in latino che l'11 febbraio scorso Benedetto XVI comunicò al mondo le sue dimissioni. «C'erano due errori nel testo», ha rivelato il cardinale Gianfranco Ravasi, «ministro della Cultura» vaticano, raccomandando più attenzione al latino in Segreteria di Stato. «Ero al Concistoro e quando il Papa finì di parlare un cardinale mi chiese: “Ma che cosa ha detto?" —Che dà le dimissioni—, risposi. “No, lei non ha capito!" fu la sua replica». Anche tra i porporati c'è chi deve ripassare il latino.
La rivista è stata presentata da Ravasi, dal direttore Ivano Dionigi, presidente dell'Academia Latinitatis e rettore dell'Università di Bologna, e dallo scrittore e archeologo Valerio Massimo Manfredi. La testata, fondata nel 1953, si ripresenta con veste tipografica rinnovata, edita da Palombi, ospitando articoli in latino, in italiano e altre lingue moderne. Tra le firme, Massimo Cacciari, Luciano Canfora, Carlo Carena, Manlio Simonetti, Manlio Sodi, il poeta Alfonso Traina (un suo epigramma latino è stato twittato da Ravasi) e Stefano Bartezzaghi.
Ravasi ha citato Antonio Gramsci e i suoi Quaderni dal carcere: «Non si impara il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti o i corrispondenti commerciali: li si impara per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e per conoscere se stessi». Ha detto Dionigi: «Perché i classici? Perché ci insegnano a parlare bene. E oggi esiste un problema del parlare bene».

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