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Quella lettera che chiede onori per Montanari

«Da molti anni un funebre velo copre uno dei seggi della nostra Accademia. È ormai tempo che quel velo si tolga e che si deponga sopra quel seggio un serto di onore». È il 18 ottobre 1866. Verona è appena stata annessa all’Italia, dopo i plebisciti, quando l’avvocato e patriota Pietropaolo Martinati, al sicuro ormai dal pericolo di ritorsioni austriache, firma questa lettera inviandola all’Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona, di cui è socio (allora Accademia di agricoltura, arti e commercio). Il «funebre velo» che vuole togliere è quello che adombra il seggio di Carlo Montanari, socio del sodalizio, che da anni non siede più nel prestigioso consesso. «Inteso a frangere l’antico giogo», infatti, l’Austria lo «spegneva» il 3 marzo 1853, come cita l’epigrafe che in via Del Seminario 12, ricorda l’uccisione dei Martiri di Belfiore. Tra quel gruppo di patrioti c’è appunto Montanari, impiccato dalle autorità asburgiche a Mantova con Tito Speri e don Bartolomeo Grazioli, dopo don Enrico Tazzoli (7 dicembre 1852). La lettera di Martinati è stata rinvenuta pochi giorni fa, a 170 anni dall’anniversario di quell’impiccagione, nell’archivio accademico di palazzo Erbisti. È come un tuffo a ritroso nella storia. Martinati chiede di ricordare per sempre Montanari: «Se è cosa lodevole e santa l’onorare la memoria dei prodi, che sui campi di battaglia hanno versato il proprio sangue per la patria, non meno lodevole e santo proposito è quello di celebrare la memoria dei magnanimi che hanno lasciato per sì nobile causa la propria vita sopra il patibolo». Nato a Verona il 14 settembre 1814, il conte Montanari è una delle figure intellettuali di spessore dell’epoca. Dal 1841 al 1853, è socio dell’Accademia, all’interno della quale esprime il suo interesse nell’ambito economico e del progresso scientifico che manifesta anche partecipando ai congressi scientifici di Milano e Venezia. Montanari è membro di diverse commissioni accademiche per la valutazione di progetti per il miglioramento agricolo e industriale, ove è necessaria una conoscenza matematica e tecnica. Proprio in Accademia, così come in Società Letteraria, della quale è membro, stringe amicizie nell’ambiente patriottico italiano che si muove nel sottosuolo per affrancare il Veneto dall’Austria. Dopo la sua impiccagione non sarà possibile alcuna manifestazione di commemorazione, per ovvi divieti asburgici. Fino al 16 ottobre 1866 quando le truppe italiane entrano a Verona. Due giorni dopo, l’avvocato e fervente patriota, Martinati (1812-1878), socio dell’Accademia dal 1852 e futuro deputato italiano fino al 1870, invia una lettera al presidente dell’Accademia nella quale - con parole di commosso ricordo - propone che, a perpetua memoria del patriota martire Montanari, il suo nome rimanga sempre iscritto per primo nell’elenco dei soci effettivi, come fosse vivente. Martinati chiede anche che ne sia letto in Accademia un pubblico elogio, che gli sia dedicata una lapide e che ogni anno, all’aprirsi della prima adunanza accademica, il presidente appelli quel nome e l’accademico anziano presente risponda «morto per la patria». «Colui che affronta la morte fra i cozzo ed il rumore delle armi aspetta e spera la palma della vittoria e la corona dell’immortalità; ma a chi nel segreto della sua stanza per la patria cospira, sorge inflessibile e feroce la minaccia del patibolo e dell’ignominia, sgomento dei più animosi. L’anima grande di Carlo Montanari non si lasciò atterrire da questo fantasma. Venne con esso alle prese, lottò da forte, né cessò dal combattere se non quando un laccio fatale troncò lo stame della sua vita pregiosa», si legge nella lettera. La reggenza accademica, presieduta allora da Giulio Camuzzoni, accoglie l’invito e vi dà seguito. Anzi, per il «pubblico elogio» (che per prassi accademica si tiene alla prima seduta successiva al decesso) viene deciso di darvi ampio risalto, anche se a distanza di 13 anni dalla morte, chiedendo al Comune la sala maggiore del Palazzo della Gran Guardia Vecchia, il 7 marzo 1867. «La figura di Carlo Montanari e il culto della sua memoria nell’ambiente culturale veronese, che supera i confini dell’Accademia», spiega oggi il presidente dell’Accademia, Claudio Carcereri de Prati, «è un’ulteriore testimonianza di quell’amore, diffuso anche nella nostra città, verso il canone risorgimentale che cogliendo l’unità culturale della penisola italiana la vuole come una Nazione, tra le Nazioni, e retta da una costituzione, lo Statuto Albertino, lasciato in vigore con notevole intuizione politica, dopo la sconfitta dei moti del 1848 ed unico tra i sovrani d’Italia, da Carlo Alberto di Savoia legando così all’ “itala nostra corona”, come da lui stesso definita, le sorti della penisola».•.

Maria Vittoria Adami

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