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QUEI TOSCANI TEMERARI

La seconda sezione dedicata agli amici e ai mecenati del movimento: molti i ritrattiTelemaco Signorini, Il merciaio di La Spezia, 1859, particolare, olio su tela, collezione privataOdoardo Borrani, Mietitura del grano, 1861
La seconda sezione dedicata agli amici e ai mecenati del movimento: molti i ritrattiTelemaco Signorini, Il merciaio di La Spezia, 1859, particolare, olio su tela, collezione privataOdoardo Borrani, Mietitura del grano, 1861
La seconda sezione dedicata agli amici e ai mecenati del movimento: molti i ritrattiTelemaco Signorini, Il merciaio di La Spezia, 1859, particolare, olio su tela, collezione privataOdoardo Borrani, Mietitura del grano, 1861
La seconda sezione dedicata agli amici e ai mecenati del movimento: molti i ritrattiTelemaco Signorini, Il merciaio di La Spezia, 1859, particolare, olio su tela, collezione privataOdoardo Borrani, Mietitura del grano, 1861

INVIATO A PADOVA Maledetti toscani. Così ironici, così creativi, “spregiosi” come li dipinse il libro di Curzio Malaparte. Anche nell’arte da sempre geniali, sia da mecenati che da pittori e scultori. Furono protagonisti nell’Ottocento italiano del movimento pittorico più importante, durato una quindicina d’anni, che anticipò anche i celebratissimi Impressionisti. Una irrefrenabile voglia di modernità li caratterizzava. Parliamo dei Macchiaioli, quelli del caffè fiorentino di via Cavour dove attorno ad un bicchiere gli avventori sognavano la nascita dello Stato-Nazione. Con i teorici, Diego Martelli ed Adriano Cecioni, costruirono arte attorno al tema della “macchia”. Macchia, ovvero la prevalenza della luce sulle forme, una pittura realista che rinuncia al disegno e opera di rese cromatiche: i contorni non esistono e l’occhio traduce sulla tela ciò che vede, sovrapponendo colori e creando chiaroscuri. Un gruppo di anti accademici, di riformatori. Li indaga, ancora una volta, Palazzo Zabarella a Padova dove la Fondazione guidata da Federico Bano ha aperto – fino 18 aprile 2021, sfidando il covid con elevate misure di sicurezza – la mostra “I Macchiaioli. Capolavori dell’Italia che risorge”, a cura di Fernando Mazzocca e Giuliano Matteucci, con i contributi di Silvio Balloni e Claudia Fulgheri nel catalogo. A Padova confluiscono oltre 100 opere, due terzi delle quali da collezioni private, con qualche quadro mai esposto come i giovanetti dormienti del veronese Vincenzo Cabianca, “Al sole”, 1866, provenienti da una dimora di Bologna. Due gli obiettivi e due anche gli esiti della ricerca: fare luce sul movimento allo stato nascente e rendere giustizia ai collezionisti che per primi contro ogni evidenza sostennero i Macchiaioli, li ospitarono nelle loro tenute, li finanziarono comprandone le tele. E’ stato compiuto un lavoro chirurgico, spiega Elisabetta Matteucci dell’omonimo Istituto di Viareggio, coproduttore della mostra con la Fondazione Bano e il Comune di Padova, che ha scandagliato fonti d’archivio risalendo agli antesignani: «Chi li amò diede prova di una visione anticonformista e di lungimiranza estetica».Le sei sezioni, su vivaci pareti monocrome, sono alla fine un diario per immagini, «tappe di un a geografia sentimentale» - dice Matteucci- in cui i collezionisti di fine Ottocento mostrarono di capire la svolta ribelle di quella vivace congrega di artisti che pur non riversandolo al cavalletto viveva l’impegno politico. C’erano mazziniani, garibaldini, alcuni caddero in battaglia come Raffaello Sernesi, ferito 28enne nella Terza guerra di indipendenza in Trentino e morto in seguito all’amputazione di una gamba. Nell’Italia che insorge il movimento fin dal 1855 sperimenta una pittura che per gli effetti tonali si rifà a grandi maestri, da Tintoretto a Rembrandt, ma usa la luce come lente d’ingrandimento di una realtà raccolta e quotidiana, fatta di paesaggi e giardini, di buoi maremmani e acquaiole, di vedute dell’Arno e scorci liguri raggiunti nelle gite di gruppo. Sarà la casa gialla di Diego Martelli (amico d’infanzia di Telemaco Signorini) ad accoglierli a Castiglioncello, come il salotto di Gustavo Uzielli, figlio di banchieri livornesi, volontario nella Prima guerra d’indipendenza; vicino a loro il critico Ugo Ojetti, e tra i primi collezionisti il medico Rodolfo Panichi, la marchesa Maria Ottavia Vettori Medici, la nobile famiglia Fabbroni che “adottò” le inquietudini di Silvestro Lega. Li aiutò l’immobiliarista Costantino Morrocchi, proprietario del palazzo il cui piano terra era affittato al famoso locale Michengiolo: «E’ con un sospiro che rammento quei tempi, e quelle veglie, perchè nella storia di quel caffè si riassume tutta la storia della nostra Toscana» scrisse Martelli nelle memorie. Alle loro prime esposizioni pubbliche di gruppo, nel 1961 e ’62, gli artisti vennero ferocemente ridicolizzati: definiti Macchiaioli, di quella definizione fecero un vanto e un marchio di fabbrica. Comprare un Signorini, un Lega, un Fattori, un Abbati (un altro pittore patriota, morto a 32 anni), un Banti significava avere fiuto, ma anche sposare un messaggio: furono commercianti e imprenditori come Magnelli e De Farro, il progressista Ottavio Parenti, la famiglia De Mari, il finanziere Enrico Checucci che finito nei guai nel 1913 dovette cedere 288 opere della collezione. Al circuito internazionale i Macchiaioli giunsero grazie ad intelligenti mercanti come Giacomo Molena, Luigi Pisani della galleria di piazza Ognissanti, mario Galli, Pilade Mascelli che fu tramite tra il movimento e Giovanni Pascoli. Un ruolo specialissimo lo ebbe l’imprenditore livornese Alvaro Angiolini la cui raccolta viene esposta per la prima volta nella sua integrità: come consigliere a metà del Novecento ha avuto il gallerista milanese Enrico Somaré e con lui ha messo insieme pezzi straordinari, dal “Pio bove” di Fattori al delizioso ritratto di Elvira con pappagallo di Vito D’Ancona. •

Nicoletta Martelletto

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