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L'intervista a Piera Ventre

«Non conosco donne che non abbiano subito grandi o piccole molestie. E il segno resta per sempre»

Violenza contro le donne la panchina rossa non basta

Conduce in un viaggio dell'anima che attraversa lo spazio, il passato e il presente, Le stanze del tempo (Neri Pozza, novembre 2021). Un viaggio fatto di ricordi, incontri, piante e animali, dove si entra in punta di piedi tra oggetti e mobili, relazioni e piccoli rituali quotidiani. A comporre questo mosaico di racconti, che si presta a prendere la forma di un romanzo, un diario o un'antologia, è Piera Ventre, classe 1967, napoletana di nascita e livornese d'adozione. Nelle pagine di questo libro l'autrice di Palazzokimbo (2016) e Sette opere di misericordia (2020) lascia spazio e regala voce alle donne, figure complesse, vive, struggenti che si affiancano all'io narrante con il loro ricco bagaglio di storie e confidenze da condividere. E, nel giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne, riflette sulla condizione femminile in una società, quella di oggi, ancora pesantemente patriarcale.

Piera Ventre, attraverso Le stanze del tempo lei accompagna i lettori alla scoperta di una sua grandissima passione: quella per le case.
Mi incuriosisce vedere come le persone si muovono nei propri spazi, come li abitano. La relazione con la casa in cui viviamo dice tanto di ognuno di noi. Oggi io abito in una casa che amo moltissimo, ma che come tutte le case ha tanti difetti. Eppure, quando cerco di immaginarmi una casa ideale, ogni volta penso: sarei disposta a lasciare questa?

A proposito di grandi cambiamenti, lei ha lasciato Napoli ormai da diversi anni. Che rapporto ha, oggi, con la sua città?
Manco da Napoli da trent'anni e ogni volta che torno, come scrivo anche nel primo racconto, la vedo sempre più trasformata in un presepe: si spopola nel centro e diventa la rappresentazione della propria immagine. Non è più la città degli anni '70 e '80 che ho lasciato quando sono partita, diventa per me come un'astrazione. Posso dire per certo, però, che Napoli è una città femmina.

E le donne di Napoli, come sono?
Quelle della mia generazione hanno avuto sicuramente sotto gli occhi esempi di un chiaro assetto matriarcale. Erano le donne a decidere, anche se mamme e nonne dicevano sempre: bisogna far credere al marito che sta decidendo lui. Mia madre portava i pantaloni, e in ogni caso nei nuclei famigliari sani, non disfunzionali, a sbrigare le cose pratiche erano loro, con quella straordinaria capacità organizzativa tutta femminile. Nel frattempo l'emancipazione ha portato le donne a saper conciliare molte cose: il lavoro, la gestione della casa, la cura dei bambini e degli anziani, una grande ricchezza che dà forti emozioni.

I suoi libri sono popolati di bambini e bambine, gli adulti del futuro. Quelli che insieme agli animali costituiscono le piccole creature, come le definiva Anna Maria Ortese.
Ortese, insieme a Elsa Morante, è tra le scrittrici a me care, e i loro temi sono sempre presenti nella mia scrittura. Lei definiva gli animali "le piccole persone", per la loro purezza e innocenza. E insieme a loro si muovono i bambini: sono tutte creature dal ruolo sacro, perché in loro manca quel pensiero 'laterale' tipico del mondo adulto. I bambini poi sono gli adulti di domani: sono convinta che se le madri avessero la grazia di possedere questa visione del mondo i figli crescerebbero in modo diverso. Il cambiamento deve partire proprio dalle madri e dalle donne, che fanno i figli e passano tanto tempo con loro negli anni decisivi, i primi.

Non è ancora finito questo 2021, eppure sono già oltre cento le donne uccise in Italia. Che riflessioni suscita in lei questo numero impressionante di vittime?
Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi dimostra quanto questo paese sia ancora patriarcale a tutti gli effetti. Le donne subiscono uno scotto di secoli. E voglio essere franca: ci vorrà ancora molto, troppo tempo. Un esempio? Non conosco una sola donna che non abbia vissuto una molestia nella sua vita. Ci sono anch'io, che pure ho lavorato in ambienti scolastici e con contratti di collaborazione che mi permettono di non sottostare a una gerarchia. Da ragazza, a 18 anni, ho lavorato in una piccola fabbrica di termoidraulica: al bancone arrivavano capimastri, edili, lavoratori giovani e la battuta era all'ordine del giorno, così come il complimento non sempre gradito. Mi sono ritrovata anche a un colloquio in cui il mio potenziale datore di lavoro ha tentato un approccio: per fortuna era un pavido, e al mio rifiuto si è fermato. Quando ero a Napoli ho vissuto con le mie coetanee le prime sensazioni di abuso sugli autobus, con gli uomini che ti si strusciavano addosso. E noi ragazzine provavamo vergogna, non sapevamo reagire. Mia madre mi diceva di pestare loro i piedi, in caso di emergenza. Sono quelle piccole molestie che tanto piccole poi non sono, e portano a mettersi inevitabilmente in atteggiamento di difesa. Sono esperienze spiacevoli che lasciano il segno, soprattutto quando ci vogliono far credere che la colpa è nostra.

Eppure anche nel mondo della cultura continuano a esserci grandi disparità.
Le donne soggiogate sono ancora troppe e spesso proprio gli ambienti più colti si rivelano i più subdoli. Per esempio, c'è ancora chi dice: io non leggo le donne. La scrittura non ha un sesso, è bravura o non bravura. Credo negli scrittori bravi e non bravi. Per Elsa Morante era offensivo fare questa distinzione, al punto che non volle entrare a far parte di un'antologia di sole autrici donne. "Il concetto di scrittrici come categoria a parte risente ancora della società degli harem", disse. La penso allo stesso modo.

In questi giorni in decine e decine di comuni vengono inaugurate le panchine rosse, uno dei simboli della violenza contro le donne. Cosa ne pensa?
Sono le solite demagogie utili soltanto a lavarsi un po' la coscienza. Il vero impegno si dovrebbe vedere in ben altro modo: per esempio offrendo a una donna che va a sporgere denuncia l'accoglienza in una struttura protetta, in una casa famiglia. Queste donne avrebbero diritto di scorta come i testimoni dei processi di mafia. Sarebbero queste le cose da fare, altro che panchina rossa..

Silvia Allegri

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