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PARLA L’ULTIMO DEMOCRISTIANO

La passione per il calcio Pier Ferdinando Casini, 67 anni, con la sciarpa rossoblù del Bologna, di cui è grande tifoso
La passione per il calcio Pier Ferdinando Casini, 67 anni, con la sciarpa rossoblù del Bologna, di cui è grande tifoso
La passione per il calcio Pier Ferdinando Casini, 67 anni, con la sciarpa rossoblù del Bologna, di cui è grande tifoso
La passione per il calcio Pier Ferdinando Casini, 67 anni, con la sciarpa rossoblù del Bologna, di cui è grande tifoso

Se, come disse lo psichiatra e scrittore veronese Vittorino Andreoli, la nostalgia è la memoria dei sentimenti, quindi nulla a che vedere con un polveroso amarcord, allora Pier Ferdinando Casini, 67 anni, bolognese, senatore del Partito democratico, parlamentare da quarant’anni, è senz’altro un nostalgico. E nel suo libro “C’era una volta la politica. Parla l’ultimo democristiano”, che presenta stasera a San Bonifacio - nel box qui a fianco i dettagli dell’appuntamento - il senatore decano, che era in ballo per la presidenza della Repubblica, rivela questi sentimenti. «Nel titolo», spiega a L’Arena il senatore, una lunga storia politica cominciata nel movimento giovanile della Democrazia cristiana, «c’è tutta la ragione per la quale ho scritto il libro: restituire onore alla politica e a chi vi ha dedicato la vita. E c’è un motivo in più». Quale motivo, senatore Casini? In questi anni la politica è stata demolita, soprattutto dalla cattiva politica ma anche dall’antipolitica, che ha dimostrato la sua incapacità. E tutto questo chiama ora la politica come c’era una volta, fatta di professionalità, di radicamento sul territorio, che si è perso anche per colpa dei sistemi elettorali. Tra i tanti politici che racconta, quali, magari restando al Veneto, in particolare ricorda, della Dc ma non solo? Il vicentino Mariano Rumor, con cui noi giovani della Dc avevamo dei dialoghi bellissimi sulla politica estera, a casa sua. Fui con lui anche in un viaggio in Cile, a fianco dei resistenti cileni. Era davvero molto spiritoso. Quando glielo dimostrò? Quando perse la presidenza del Consiglio tornò nella sua Vicenza e fuori da un ristorante, in cui aveva un grande pranzo coi suoi amici, trovò un manifesto con la scritta “Torna a casa Lassie” e la faccia di Lassie. Rumor disse: mi avete paragonato a Lassie per prendermi in giro, ma io sono grato del paragone, perché Lassie era un cane buono, onesto e fedele. E il doroteo Dc Antonio Bisaglia, rodigino, parlamentare, ministro? Ero molto legato a lui. Ha interpretato molto il Veneto, la sua realtà produttiva. Da lui ho imparato tanto. Anche con consigli scherzosi. Tipo? Mi diceva sempre: non mancare mai a funerali e matrimoni, perché sono le uniche occasioni in cui la gente si ricorda chi c’era e chi non c’era. Ma da lui ho appreso anche che in politica le bugie non pagano. Perché un politico non leale non è preso sul serio da nessuno. Ma cito anche i veronesi Guido Gonella, importantissimo, un collaboratore di De Gasperi di prima categoria, e Luciano Dal Falco, ministro della sanità. Ma anche non democristiani. Tra questi chi? Il socialista Gianni De Michelis, di cui ho molto apprezzato l’intelligenza. Ma nel libro c’è soprattutto quello che hanno lasciato questi e tanti altri che ho conosciuto, che rispettavano la gente, anche la più umile. Il festival di Sanremo fa numeri impressionanti e là si affrontano anche temi politici. Poi in Lombardia e Lazio la percentuale dei votanti alle regionali è stata misera. Come lo spiega? Caduto il muro di Berlino sono caduti anche i partiti ideologici. E in Italia ci si adattò all’idea dei partiti personali, forse tranne il Pd. Ma tutti gli altri sono partiti personali: di Salvini, di Berlusconi, di Renzi. Comunque anche ai tempi del direttore della Rai Bernabei gli ascolti di Sanremo erano alti. Fa parte dello svago giusto degli italiani. C’è anche un tema di formazione politica, poi, che nei partiti manca. Lei si sente ancora “malato” di politica? Dalla politica non ci si dimette mai, ma più vado avanti più cerco di non fare battaglie di parte, ma di capire sempre di più le ragioni degli altri. Mi sento più un padre nobile. La Meloni è andata a Kiev: ebbene, io sono stato orgoglioso, anche se non l’ho votata e in Parlamento le voto contro. Ma quando mette i piedi fuori dai confini nazionali mi rappresenta, è il mio presidente del Consiglio. Io invece contesto il presidenzialismo. Perché? Ci sono democrazie in cui funziona molto bene, ma in Italia l’unico istituto funzionato realmente è quello del presidente della Repubblica, perché è un “pater familias”, mentre rendendolo a elezione diretta lo si vuole trasformare nell’epicentro delle divisioni politiche ed è un errore enorme. C’è invece bisogno di una moral suasion di qualcuno che si rapporta con tutti, perché da tutti viene così rispettato. D’altra parte il gradimento di Ciampi, Napolitano, Mattarella, è stato ed è ad altissimi livelli. Non è un caso. E l’autonomia regionale, le piace? Io vorrei dire a uno come il presidente del Veneto Zaia, che stimo perché è un politico intelligente, che la cosa che più mi colpisce non è la disputa tra “è molto, è poco”, in termini di autonomia, ma che il Parlamento è ridotto a passacarte. È inaccettabile, su una riforma di questo tipo. Non siamo il Cnel, siamo il Parlamento.•.

Enrico Giardini

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