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NEL SURREALE NON GIUDICANTE

Lo scrittore Ade Zeno. Utilizza uno pseudonimo
Lo scrittore Ade Zeno. Utilizza uno pseudonimo
Lo scrittore Ade Zeno. Utilizza uno pseudonimo
Lo scrittore Ade Zeno. Utilizza uno pseudonimo

Visionario, cinico e al contempo pulsante di delicatezza e commozione, L’incanto del pesce luna, di Ade Zeno, è un viaggio nel surreale mondo dei sentimenti più nascosti, anche quelli terrificanti che fatichiamo ad ammettere a noi stessi. È un tunnel in cui si disvela il mostro che ciascuno ha dentro, relegato in un angolo finché la necessità lo risveglia. Una necessità vestita del migliore dei sentimenti, in questo caso: l’amore. E cosa siamo disposti a fare per amore? È la riflessione che suscita il romanzo, tra i cinque semifinalisti del Campiello 2020, facendo mettere in discussione il lettore sulle proprie certezze sul “ciò che non farebbe mai” per nessun motivo al mondo. E invece il confine tra bene e male è labile e L’Incanto del pesce luna ci cala in un surreale non giudicante, ché prima di esprimere un giudizio occorre calarsi nei panni degli altri. Nei panni di Gonzalo, ad esempio, il protagonista del romanzo che, come l’autore, è cerimoniere in una sala di cremazione. Ha una bimba in coma e pur di curarla accetta un nuovo lavoro: accudire un’anziana signora che gli affida il compito inenarrabile di procurarle esseri umani di cui lei si ciba. Gonzalo ne è lacerato, ma continua. Ogni sua azione deve essere l’ultima, invece è solo un nuovo paletto piantato sempre più in là sulla linea dell’accettabile. Fino al finale a sorpresa. Una narrazione tra vivi e morti, di vivi che sembrano morti, di morti che servono a cibare i vivi. In un contesto funebre. Qual è la riflessione che vuole suggerire? Quello funebre è solo un contesto per affrontare il tema forte, ancora tabù, della morte. Ma che si presta a far emergere aspetti conflittuali dell’uomo come protagonista che lotta contro la morte, ma con i suoi lati oscuri entrando in contrasto con la mortalità. Il tema, quindi, è una domanda: cosa siamo disposti a fare per amore e fino a quali azioni orribili possiamo arrivare? Il protagonista è in confidenza con la morte, ma questo non lo esime dall’entrare in conflittualità con se stesso. Guardarlo e patire con lui può seminare qualche domanda. E patendo con lui, ci scopriamo a non giudicarlo... Sì. Tendiamo a dividere tutto tra bene e male, l’invito è a guardare tra le maglie, tra le sfumature. A non giudicare. La sospensione del giudizio avviene tramite una storia in cui l’immaginario divora la realtà e la realtà vera è quella surreale... Non amo rappresentare la realtà per quello che è o sembra, ma per quello che nasconde. La descrivo attraverso una lente deformante, gioco con la realtà trasfigurandola, non dando dei confini riconoscibili, ma la vera realtà che è quella che non si vede. Sogni e incubi si mescolano. Così la sospensione del giudizio opera anche una sospensione della realtà soggettiva. Hanno definito il suo genere horror o thriller, lei come lo chiama? Non amo le etichette. Il mio è un romanzo fantastico realisticheggiante, richiama la realtà deformandola. Gioco con più generi, a tinte horror. È un insieme di ingredienti. Ha scritto una storia di realtà cupa, quasi disturbante. Ne è consapevole? Non è voluto, però. Certi temi possono essere disturbanti, non disturbando. Certo il rischio è di perdere i lettori più sensibili, ma non tralascio temi dolci come il rapporto tra il protagonista con la sua bambina. Il cupo serve a far risaltare gli aspetti emotivamente accettabili. Gonzalo si autoassolve dai suoi crimini con l’alibi dell’amore. L’amore è davvero un alibi? Mi sono dato una risposta, ma non voglio darla ai lettori. Dico solo che l’amore è una grande macchina che ci fa scoprire aspetti che non credevamo di avere. Ade Zeno cosa legge, invece? Ho punti di riferimento che sono padri capisaldi come Borges, Kafka, Wilcock ma anche Pavese. E poi Roberto Bologna e la letteratura fantastica che prova ad andare oltre e fa riflettere sul potere della letteratura e che riesce a insegnarci qualcosa che non si vede più. Ha uno stile sintetico, quasi teatrale, senza virgolette nelle parti di dialogo... Ho uno stile letterario a servizio dell’astrazione di cui ho bisogno. Ma sono molto attento alla musicalità delle frasi e all’asciuttezza dei dialoghi: mi aiuta nella musicalità, nel ritmo da dare alle battute. Perché usa uno pseudonimo? Rispondeva alla necessità di nascondermi e non essere personaggio pubblico. Ade Zeno è un altro me, che mi permette di entrare nel mondo immaginario in cui lavoro, che va oltre ed è separato. Si aspettava la nomina nella cinquina del Campiello? No. Stavo andando dai miei genitori in macchina in montagna quando ho avuto la notizia. Non lo immaginavo. È stata una bella sorpresa, soprattutto per il libro, uscito a ridosso della chiusura delle librerie, che sarebbe morto lì. È stata un toccasana, anche per lo staff. •

Maria Vittoria Adami

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