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Mistero svelato, la Botte Zerpana non è di Palladio ma di Bombieri

La Botte Zerpana, opera idraulica fra Veronella, Arcole e Belfiore
La Botte Zerpana, opera idraulica fra Veronella, Arcole e Belfiore
La Botte Zerpana, opera idraulica fra Veronella, Arcole e Belfiore
La Botte Zerpana, opera idraulica fra Veronella, Arcole e Belfiore

Paola Bosaro Altro che Palladio e il suo sigillo: la Botte Zerpana fra Veronella, Arcole e Belfiore, erroneamente attribuita al grande architetto padovano, è un’opera idraulica di fine Settecento. E non è del Palladio, bensì del meno conosciuto, ancorché competente, ingegnere veronese Simone Bombieri. Ci voleva Giulio Zavatta, storico dell’arte e ricercatore riminese, per sfatare un mito resistito nella provincia scaligera per oltre un secolo. Un mito che aveva avuto come protagonista involontario uno scrittore di San Bonifacio, Corrado Buscemi, in grado di scatenare con un suo romanzo qualche anno fa una caccia al tesoro nella Zerpa per trovare il sigillo che secondo il suo romanzo Andrea Palladio avrebbe lasciato come firma sotto le due torrette in mattoni. Ma il Palladio con la Botte della Zerpa non c’entra nulla. Zavatta, uno dei più grandi conoscitori dell’opera palladiana nel Veronese, il primo a dichiarare, documenti alla mano, che le barchesse di Corte Grande dei Serego a Veronella sono state progettate proprio da Palladio, abbatte definitivamente in una sua recente ricerca presentata all’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona un’ipotesi infondata, nata come diceria ed affermatasi nei primi decenni del Novecento, quando vennero eseguiti dei lavori di ristrutturazione del sifone che convoglia le acque della fossa Serega sotto l’Alpone. In quegli anni la Gazzetta delle tre Venezie indicò il manufatto come opera del maestro padovano. La tradizione orale, mai smentita ufficialmente, faceva risalire la costruzione della Botte Zerpana a quasi tre secoli prima dell’effettiva realizzazione. Secondo l’autore di quell’articolo, per risolvere il grave problema dell’impaludamento e delle alluvioni nei terreni tra Arcole, Belfiore e Zevio, attraversati dagli scoli Masera, dogale Fontana, fossa Serega e dal torrente Alpone, nel Cinquecento i conti Serego, già committenti del Palladio per le ville di Cucca e Miega, interpellarono il maestro autore della Rotonda. Il grande architetto propose di costruire un sifone in muratura per far passare l’acqua degli scoli sotto il torrente Alpone ed evitare così le frequenti piene. Il sistema si dimostrò così efficiente da essere rimasto intatto fino ai giorni nostri. In molti, anche storici e studiosi, ci hanno creduto. Solo poche voci si sono levate per definire una bufala l’attribuzione palladiana. Nel 1980, dopo la mostra «Palladio e Verona», il docente universitario Francesco Amendolagine parlò per la prima volta pubblicamente di leggenda palladiana, di «affabulazione». «Da quel momento il nome di Andrea Palladio sfumò fino quasi a scomparire, ma nessuno dubitò del fatto che la Botte fosse comunque cinquecentesca», riferisce Zavatta. Prova ne è la citazione di opera del Cinquecento sia sulla guida rossa del Touring Club Italiano che sul documento del vincolo architettonico stabilito dalla Soprintendenza di Verona nel 1995. È probabile che l’equivoco sia nato perchè nel Cinquecento esisteva già un manufatto che avrebbe dovuto risolvere il problema del ristagno d’acqua. Il celebre cartografo della Serenissima Cristoforo Sorte si occupò della realizzazione di un «ponte canal», soluzione utilizzata spesso in quegli anni per cercare di far defluire l’acqua degli scoli irrigui, sfruttando un dislivello artificiale. Aperto nel 1568, il «ponte canal» della Zerpa aveva già iniziato ad impensierire la Serenissima Repubblica una ventina di anni dopo. «In un documento del 1587 viene evidenziato il malfunzionamento del manufatto che, di fatto, non elimina il reflusso dell’acqua in caso di piena», riferisce Zavatta. Si fecero altri tentativi, in concomitanza con i lavori di bonifica delle paludi della Zerpa, argomento trattato con dovizia di particolari da Marco Pasa, fino al 1791. È in quell’anno che il perito Plinio Antonio Roveda, in qualità di responsabile di zona per il sistema idraulico, incarica il veronese Bombieri di risolvere il problema. L’ingegnere progetta un sifone idraulico a due torri. «Lo stesso progetto della Zerpa Bombieri lo impiega per costruire una botte a Bionde di Belfiore: abbiamo il disegno», spiega lo storico riminese. Di botti in quegli anni ne vengono costruite cinque o sei, ma solo la «zerpana» non viene smantellata, segno che lo sconosciuto ingegnere, pur non essendo Palladio, aveva avuto la giusta intuizione. •

Paola Bosaro

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