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L'intervista

Milo Manara: Crepax, Fellini, Pratt, Jodorowsky, tutta la mia vita da «fumettaro»

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Milo Manara
Milo Manara
Milo Manara
Milo Manara

La matita accenna un ricciolo, un nasino, due fessure per gli occhi. Poi arriva il pennino con l’inchiostro e sul foglio bianco prende vita una delle Manarettes, come le chiamano in Francia, le ragazze di Milo Manara, 76 anni a settembre, maestro mondiale del fumetto e del fumetto erotico in particolare, veronese, al quale Feltrinelli, suo nuovo editore, dedica una biografia «A figura intera» e la riedizione di molte opere, in primis il cofanetto di acquerelli con gli eroi del Covid (mercoledì 12 maggio, alle 18,30, in streaming su Feltrinelli Live).

Lui continua a lavorare tutti i giorni nel suo buen retiro di Sant’Ambrogio con il panorama sulla Valpolicella e dove dalla collina occhieggia il borgo di San Giorgio Ingannapoltron che affascinava Federico Fellini quando saliva quassù per trovare l’amico Milo.

 

Manara che effetto fa finire sotto i riflettori?

Un effetto abbastanza strano. Tutto è nato con il cambio di editore per il cofanetto di acquerelli dedicato al «Lockdown heroes» di marzo 2020. Tutto il ricavato, al netto delle spese compreso il mio compenso, va a sostegno della clinica universitaria di Padova, dell’Ospedale Sacco di Milano e all’ospedale Cotugno di Napoli. Ho insistito perché fosse l’autobiografia di un fumettaro più che della mia persona, perché ho attraversato dagli anni Sessanta ad oggi il fumetto verticalmente e orizzontalmente.

 

Verticalmente?

Sì, perché ho iniziato da molto in basso e sono arrivato a quello che ritengo il vertice delle mie possibilità.

 

Come nasce Manara fumettista?

Una delle pietre miliari della mia vita è stata l’esposizione a Venezia, nel 1964, della Pop Art americana. Lì ho capito, io che volevo fare il pittore, che l’arte figurata era in crisi. Ero orientato verso l’astrattismo, nella scuola veronese di Marinelli, di Chiecchi, della galleria Ferrari dove aiutavo Damiano a fare le cornici nel tempo libero dagli studi del liceo artistico e poi dalla facoltà di Architettura. La Pop Art mi ha riportato con i piedi per terra: l’arte figurativa stava perdendo il contatto con la realtà. Poi è stata la volta di Roy Lichtenstein che trasformava il fumetto in operazione artistica. Nel frattempo lavoravo dallo scultore Berrocal a Negrar: sua moglie, francese, faceva arrivare da Parigi libri e fumetti e lì ho scoperto i fumetti per adulti, Barbarella. Da un lato l’arte figurativa perdeva il ruolo sociale a favore di cinema e televisione dall’altro mi sono imbattuto nel fumetto: ho messo assieme le due cose.

 

E a chi si rivolse?

Avevo un compagno di liceo, Giorgio Scarato di Cologna Veneta (già consigliere provinciale-ndr) che aveva già iniziato con i fumetti e sono andato a imparare da lui e mi ha dato i primi rudimenti: carta, inchiostri, pennini e pennelli. Poi ho fatto il giro da vari editori fino a quando uno per pietà mi ha affidato un lavoro. E così ho cominciato.

 

Il fumetto è anche l’arte di raccontare: lei ha detto che oggi Caravaggio farebbe cinema...

Una volta chiacchierando con Ettore Scola abbiamo deciso che se oggi ci fosse Alessandro Manzoni farebbe sceneggiature per il cinema. Io ho sempre pensato che se Botticelli fosse vivente oggi farebbe fumetti. Botticelli fece un libro di illustrazioni della Divina Commedia, una parte colorata e una parte ancora incompleta in bianco e nero: un fumetto, con Dante e Virgilio nelle varie scene in una completa narrazione. Oggi il fumetto sembra poco nobile e si preferisce parlare di graphic novel... Will Eisner di New York inventò il termine per distinguersi dai Comics come l’Uomo ragno e Batman. Ai giovani la paroletta fumetto ora va stretta, ma non sarà mai sostituita.

 

Ha toccato il tema di Dante: mai pensato di cimentarti con la Divina Commedia?

Sì, ci ho pensato varie volte. Ma mi sono sempre fermato di fronte a un dilemma: sarebbe giusto mettere all’Inferno i personaggi di Dante o sarebbe meglio metterci quelli attuali? Edizioni illustrate ce ne sono tantissime, da Botticelli a Dorè a Mimmo Paladino; per non fare un doppione riflettevo se mettere personaggi attuali tenendo anche quelli originali. Sto ancora riflettendo.

 

Lei è stato un testimone del tempo e l’evolversi della nostra società e il ruolo della donna: ma le sue donne sono sempre state autonome, indipendenti, sfrontate, coraggiose, emancipate, ha precorso i tempi...

Questa visione della donna deriva dalla mia educazione infantile: nella mia famiglia eravamo quattro maschi e quattro femmine e mai mi sarei sognato di trattare le mie sorelle in modo differente dai miei fratelli. Mia mamma guadagnava più o meno se non di più di mio papà. Non ho mai considerato le donne come oggetti o socialmente inferiori agli uomini. Vedo che le ragazze portano i capelli lunghi, hanno un certo stile ma non credo di aver imposto o influenzato nulla.

 

Ma quando la definizione di fumettista erotico le sta stretta?

Non ho mai fatto niente per non meritarmelo (ride). E’ fama guadagnata. Da una parte capisco che può essere utile avere un’etichetta, ma vorrei non ci si limitasse all’etichetta. Ho disegnato anche un sacco di altre cose.

 

Eros era il dio della bellezza, poi si dice che noi l’abbiamo fatto diventare peccato.

Certo, Eros definiva sia l’amore sacro che quello profano. Eros è diventato ora solo l’amore erotico. Se avessimo il coraggio di chiamare l’amore come i greci, con molte più sfumature, ci sarebbero sorprese. L’amore, Eros, muove il sole e le altre stelle come scrive Dante nella Divina Commedia.

 

Le sue ragazze da dove vengono? Dal Liston di Verona?

Ognuno ha una sua idea. Io sono molto terra terra, platonico. La realtà è quella che è ma è la brutta copia del mondo ideale. Anche il cavallo di Fidia è un ideale perfetto. Io sono rimasto a questo, quando disegno le donne le idealizzo. Invece, quando disegno altro mi ispiro di più alla realtà terrena. Non esiste per una modella in carne e ossa. Sì, guardo per la strada le ragazze, ma quello che disegno è la somma di tutto ciò che vedo e diventa un ideale.

 

I suoi maestri: Crepax.

Un grande, disegnava l’essenziale per Valentina. E’ stato sicuramente uno dei miei primi modelli, l’ho conosciuto in occasione di una mostra a Milano e lui molto gentilmente è venuto all’inaugurazione. Era già molto malato, pensava che i suoi disegni non mi piacessero, quando invece gli dissi che per me lui era un riferimento si commosse. Lo ricorderò per sempre.

 

Federico Fellini.

Ha cominciato a influenzarmi molto prima che lo conoscessi. Disegnatore pure lui, ma soprattutto molto visivo, che è l’aspetto del cinema contemporaneo che manca di più oggi. Fellini non ha trama, ha visioni, immagini straordinarie, potenza visiva. Il rapporto tra noi era molto stretto, ci si sentiva o ci si vedeva tutti i giorni, andavo a Roma per settimane. Sempre con il rispetto da parte mia nei confronti del maestro.

 

Con Jodorowsky, i Borgia..

Ho lavorato con lui per sette lunghi anni, una follia pura, geniale a suo modo. Lui faceva la sceneggiatura, non sono storicamente esatti, ma sono farina del suo sacco. Sono i suoi Borgia.

 

Hugo Pratt, padre di Corto Maltese...

Il rapporto era strettissimo, eravamo amici fraterni, a volte ero il fratello minore, a volte ero il fratello maggiore perché lui era uno scavezzacollo. C’era estrema confidenza, ci si dimenticava chi eravamo. Viaggi in tutta Europa dalle Ardenne a Lisbona. Con Pratt e Fellini ho lavorato tanto ma esperienze assolutamente diverse. Pratt ha visto i miei disegni solo una volta pubblicati; con Fellini era un continuo confronto, mi faceva gli storyboard, correggeva la brutta copia che facevo e poi la bella copia. Era di grande gentilezza e spiegava sempre le correzioni. E aveva sempre ragione. La sua era una scuola alla quale andavo sempre volentieri.

Maurizio Battista

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