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Leoncillo e il mistero della fontana scomparsa

La fontana collocata nel quartiere di Santa Lucia e di cui si sono perse le tracce
La fontana collocata nel quartiere di Santa Lucia e di cui si sono perse le tracce
La fontana collocata nel quartiere di Santa Lucia e di cui si sono perse le tracce
La fontana collocata nel quartiere di Santa Lucia e di cui si sono perse le tracce

La "Grande Mutilazione" (1962), scultura in grès e smalti su base in legno dell’artista Leoncillo Leonardi (1915-1968), è stata battuta all’asta da Stoheby’s a Milano, lo scorso novembre, a 969 mila euro. Chissà che questa cifra non risvegli la memoria di coloro che hanno tolto e messo chissà dove, o peggio ancora distrutto, la grande scultura di Leoncillo, un lavoro monumentale progettato per l’unica fontana da lui realizzata proprio qui a Verona. Malgrado le numerose ricerche della galleria, non si è avuta notizia della grande scultura realizzata per l’unica fontana firmata da Leoncillo proprio qui a Verona nel quartiere di Santa Lucia. L’opera, distrutta o rimossa, è nota solo grazie ad alcune fotografie. Proprio nella piazza del quartiere INA-Casa - opera dell’architetto Maurizio Sacripanti, considerata dalla stampa dell’epoca un esempio di una nuova concezione architettonica applicata all’edilizia popolare – compare, nelle immagini ritrovate, la fontana con la scultura di Leoncillo. Non solo è documentata in una foto scattata poco dopo la sua posa in opera e conservata nell’archivio dell’artista (Fondo Leoncillo Leonardi a Spoleto), ma anche in un altro scatto presente nel Fondo Sacripanti all’Accademia di San Luca a Roma. La “ceramica” di Leoncillo, posata sulla fontana, è anche in una fotografia a piena pagina ne Il nuovo quartiere INA-Casa di Verona - S. Lucia, pubblicazione edita nel 1959. A ricordare l’artista spoletino è la Galleria dello Scudo, che ha festeggiato con una grande mostra, aperta fino al 31 marzo, il suo mezzo secolo di attività. Ogni anno, Massimo Di Carlo che la dirige, affiancato dal figlio Filippo e dalla preziosa storica dell’arte Laura Lorenzoni, ci sorprende con esposizioni degne di spazi pubblici, che attirano a Verona il gotha del mondo artistico internazionale e che spesso gli stessi veronesi ignorano di avere a pochi metri da casa. Al centro delle fatiche della galleria è stata l’opera di Leoncillo (1915- 1968), ritenuto negli anni ’50 uno dei protagonisti della ricerca plastica del Novecento. «Solitario nella profondità del proprio linguaggio, Leoncillo lo è rimasto anche nel contesto che ora lo celebra» scrive il curatore della mostra, Enrico Mascelloni, nel catalogo che uscirà per Skirà. Leoncillo nasce come ceramista, la ceramica è sempre stata la materia attraverso la quale cercava un cromatismo terroso, infuso grazie alla sua sensibilità pittorica. Le sue ceramiche sono pura energia. Non a caso la mostra veronese, dedicata all’ultimo decennio della sua opera, quando prende corpo il suo linguaggio più maturo, si intitola Materia radicale. In mostra, oltre venti sculture, eseguite tra il 1958 e il 1968, realizzate in terracotta o in grès. Opere che vantano la presenza in varie edizioni della Biennale di Venezia, in numerose rassegne allestite in tutta Europa, comprese le iniziative dedicate alla scultura italiana promosse da Palma Bucarelli. Amato dalla critica, nel 1947 Alberto Moravia lo presenta nel catalogo della Prima Mostra del Fronte Nuovo delle Arti alla Galleria della Spiga a Milano; Roberto Longhi lo considera il più grande talento della sua epoca assieme a Boccioni, tant’è che nel 1954 firma il testo di presentazione in catalogo per la sala personale alla Biennale di Venezia; Cesare Brandi lo pone ai vertici della ritrattistica novecentesca, considerandolo nell’ultima fase della sua vicenda artistica, alla pari di Lucio Fontana. Ad aprire il percorso è Vento rosso del 1958, che rappresenta uno dei soggetti centrali nel suo linguaggio: la scultura orizzontale. «Si è scritto molto delle grandi opere verticali di Leoncillo; quasi nulla di quelle, pur numerose, rigorosamente orizzontali – ribadisce Mascelloni - realizzate tra il 1958 e il 1964. Eppure siamo in presenza di uno dei punti più alti della scultura del secondo dopoguerra, non soltanto italiana». I lavori a terra rappresentano una novità assoluta sul piano internazionale, antecedenti alle opere di artisti quali Richard Long, Carl Andre, Pino Pascali, Jannis Kounellis. In Gocce rosse del 1958-1959 colature di smalto rosso (colore “metafora” che torna spesso nella sua opera) ricoprono la terracotta. Lo slancio verso l’alto, l’enfasi della “verticalità assoluta”, che riduce talvolta la larghezza dell’opera al minimo statico indispensabile, si esprime nei due San Sebastiano, bianco e nero, l’uno del 1960 e l’altro del 1962, dove la materia è piagata, agitata da un modellato nervoso e incessante. Il Taglio rosso del 1963 si estende in superficie con l’anima dal magma incandescente e il taglio che investe gran parte dell’opera. E’ proprio il taglio, che assume per Leoncillo precise valenze semantiche, a generare la tensione verso l’alto delle forme. Non potevano che sorprenderci isolati in una stanza, Amanti antichi del 1965, un chiaro rimando al Sarcofago degli sposi del VI secolo a.C. ora al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Gli sposi si trasformano in amanti: l’opera si fa metafora ancora più intensa dell’amore e della morte. Le sorprese non finiscono con la mostra. Per volere della galleria, Marco Tonelli fa una rilettura critica del “Piccolo diario”, redatto da Leoncillo tra il 1957 e il 1964, riprodotto per la prima volta in copia anastatica. •

Maria Teresa Ferrari

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