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STORIA

La scritta misteriosa sulla porta simile a quella trovata a Pompei

Ad Arcè di Pescantina all'ingresso nella chiesa di San Michele una formula diffusa nell'antichità che sfida ogni interpretazione
La stessa iscrizione-palindromo sulla porta alla chiesa di San Michele ad Arcé di Pescantina
La stessa iscrizione-palindromo sulla porta alla chiesa di San Michele ad Arcé di Pescantina
La stessa iscrizione-palindromo sulla porta alla chiesa di San Michele ad Arcé di Pescantina
La stessa iscrizione-palindromo sulla porta alla chiesa di San Michele ad Arcé di Pescantina

Doveva essere per forza un agricoltore ad accompagnarci tra i misteri della Valpolicella. Più precisamente un seminatore: è il «sator» dell'enigmatica iscrizione latina ad aprire il trentesimo Annuario storico della Valpolicella. «Sator arepo tenet opera rotat»: quest'epigrafe, in scrittura capitale quadrata romana, sta incisa da nove secoli sull'archivolto della porta meridionale alla chiesa di San Michele, ad Arcé di Pescantina. Andrea Brugnoli e Francesco Cortellazzo esplorano l'origine e il possibile significato del celebre palindromo, frase cioè leggibile sia da destra sia da sinistra (ma quella di Arcé ha un errore, perché termina in «t» e non in «s»). Tenendo conto del gioco di parole, la traduzione della frase è: «Il seminatore tiene l'opera; l'opera mantiene le ruote». L'iscrizione si ritrova ovunque, in Europa, su un numero sorprendentemente vasto di reperti archeologici: negli scavi di pompei, a Roma, nei sotterranei della basilica di Santa Maria Maggiore; a Siena, nel duomo; a Frosinone, nella Certosa di Trisulti a Collepardo, e in moltissimi templi medievali. E poi in Inghilterra, sulle rovine romane di Cirencester, l'antica Corinium; nel sud-est della Francia, nel castello di Rochemaure; in Spagna, a Santiago di Compostela; ad Altofen, in Ungheria; a Riva San Vitale, in Svizzera… E ad Arcé, appunto. La chiesa di San Michele fu eretta all'inizio del XII secolo. La stessa età deve avere quella scritta (come stimarono Luigi Simeoni e Giuseppe Silvestri), incisa su un arco composto di cinque conci in pietra bianca e tufo. La scritta qui non compare nella forma più frequente e suggestiva del «quadrato magico», ma lineare. «Formula di dibattuto significato», spiegano Brugnoli e Cortellazzo, «solitamente organizzato in un quadrato di cinque righe in modo da risultare leggibile in ogni verso e direzione. Pur avendo, nel corso del tempo, attirato l'attenzione di alcuni studiosi e sicuramente sollecitato la curiosità dei visitatori, non esistono allo stato attuale studi specifici, né edizioni critiche di questa iscrizione».
Tornando a Verona, ricordano i due studiosi, un altro esempio, seppure poco più tardo, probabilmente del XIV secolo, si trovava nel chiostro del convento di Santa Maria Maddalena in Campomarzio. Questa scrittura, probabilmente incisa su pietra, ci è nota solo attraverso la riproduzione di Giambattista Biancolini, che la dice collocata «sopra la nicchia d'una Ruota del Parlatorio».
Brugnoli e Cortellazzo proseguono: «Le prevalenti ipotesi formulate tra gli anni Venti e Trenta collocavano la nascita della formula in ambito cristiano, in riferimento a Cristo come il Sator che tiene l'aratro, e alla croce formata dalla parola centrale “tenet"". Ma poi il ritrovamento di due iscrizioni del “sator" a Pompei, databili tra il 50 e il 79 dopo Cristo, riaprirono un ampio ventaglio di possibilità. Nel 1823, Filippo Huberti, raccogliendo la sfida di Giovan Battista Da Persico, sostenne che la scritta non sarebbe stata altro «che un eccitamento alla carità espresso con un giocolino», ovvero: «Il seminatore (od elemosiniere) tiene per sé le opere. L'opera (o l'elemosina) mantiene (o conserva) le ruote (ovvero i conventi)». Mah.

Lorenza Costantino

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