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LA NUOVA STAGIONE DEI GRANDI ADULTI

L’incontro Lidia Ravera presenterà il suo libro alla Biblioteca CivicaLa copertina del libro
L’incontro Lidia Ravera presenterà il suo libro alla Biblioteca CivicaLa copertina del libro
L’incontro Lidia Ravera presenterà il suo libro alla Biblioteca CivicaLa copertina del libro
L’incontro Lidia Ravera presenterà il suo libro alla Biblioteca CivicaLa copertina del libro

Hanno attraversato mezzo Novecento, innescando e vivendo il periodo delle contestazioni e della lotta per i diritti e dichiarando guerra a convenzioni e stereotipi che legavano soprattutto la donna. Sono stati rivoluzionari e ora, che sono ultrasettantenni, potevano forse restare in un angolo a guardare lo scorrere dei giorni? Certo che no. Di questa nuova generazione di pionieri del tempo, che rappresenta un terzo della popolazione, torna a scrivere Lidia Ravera, classe 1951, con il suo nuovo romanzo «Age Pride. Per liberarci dei pregiudizi sull’età», edito da Einaudi. Ravera presenterà il volume domani alle 17.30, alla biblioteca civica di via Cappello, in dialogo con Maria Teresa Ferrari, in un appuntamento organizzato dalla Feltrinelli nell’ambito della manifestazione «8 marzo 2023. La Rivoluzione è Donna», promossa dal Comune di Verona. Age Pride è una chiamata agli «over 70» a vivere questa nuova stagione e rivendica la allegria celata nella maturità spiegando come il tempo, da nemico, possa trasformarsi in un alleato che consente una libertà imprevista. Insomma, la rivoluzione continua... Lidia Ravera, partiamo dall’inizio del suo libro. Lei è cresciuta negli anni Cinquanta e inizia con una riflessione sui «vecchi» che erano «i poveri e abitavano le chiese e gli ospedali». Oggi cos’è cambiato? Così vedevo i vecchi da bambina. Con un certo spavento. Oggi li chiamo Grandi Adulti perché li conosco e so come sono. Adulti perché sanno prendersi le proprie responsabilità. E Grandi perché fanno una gran fatica a cambiare le regole del gioco. Oggi è aumentata la prospettiva di vita, abbiamo davanti ancora molti anni. Attraversiamo un tempo che non c’è mai stato prima. Siamo degli avventurieri: allegri, pugnaci, forti e decisi ad arredarli, questi ulteriori trent’anni di vita. Non abbiamo modelli di riferimento, dobbiamo inventarli. E questo vale anche, o soprattutto, per le donne... Siamo la generazione di donne che ha contestato la condizione femminile imposta alle nostre madri. Siamo diventate madri su base volontaria, non per obbligo, ma per scelta. Siamo state donne diverse, lo siamo anche da vecchie. Siamo attive, anche culturalmente, sappiamo usare la nostra libertà e abbiamo una vita piena. Un tempo, arrivate alla menopausa, si diventava trasparenti, non contavi più niente, finché non diventavi nonna, allora ritrovavi un posto a tavola. Eri di nuovo funzionale alla famiglia. Ora è tutto diverso. Quando diventi nonna, sei “nonna anche”, non nonna e basta. Questa terza età, allora, è una conquista o una condanna? È una conquista. È perdente fingersi giovani. E anche noioso. Ogni età della vita è un paese straniero. Devi acquisire la mentalità del viaggiatore, la curiosità di conoscere. Il terzo tempo è una condanna se non ci liberiamo degli stereotipi: la zitella acida, la vecchia strega, la befana lamentosa… Quali sono gli stereotipi da scardinare e le donne li subiscono di più? Sì, perché a un uomo non si chiede di essere bello e giovane e fresco in eterno. Gli uomini sono persone, con l’età acquisiscono fascino. Noi dobbiamo conquistarci lo stesso statuto di “persona”. Dobbiamo liberarci di tutti quegli aggettivi squalificanti che ci portano all’autosvalutazione. Non siamo tristi, avare, ipocondriache, invidiose, lamentose e inutili. Invecchiare è un’esperienza individuale, ciascuno invecchia a modo suo. Quando hai una lunga vita dietro non puoi essere infilata a forza in una categoria. Ci siamo conquistate il diritto di essere individui, siamo la generazione che ha lottato contro condizionamenti, ipocrisia e repressione. Abbiamo aperto le sbarre della gabbia in cui ci avevano imprigionate. E una volta tolta la gabbia, dove si va? Dove si è sempre voluto andare. Si continua a vivere e a essere quello che si era a 30 anni, con un passato più lungo e un futuro più corto. Avere un lungo passato, dà forza. Essere libera dal bisogno di vederti riflessa nello sguardo degli altri ti rende meno conformista. È una fase sorprendente. Gusti finalmente un po’ di libertà. Qual è la sua reazione all’età che avanza? Avevo problemi con “l’età che avanza” già a 12 anni. Avevo, in realtà, un problema legato alla condizione umana: questo fatto che nasci, cresci, invecchi e muori. E hai una vita sola. Ne ho scritto sin dal mio secondo romanzo, a 26 anni, «Ammazzare il tempo». Mi sono tormentata in questa precoce consapevolezza per decenni. Mi sono difesa con la scrittura. E continuerò a farlo. Quale messaggio porta con sé Age Pride? Ho voluto invitare i miei coetanei - siamo in 14 milioni - all’orgoglio di aver vissuto. Questo piccolo libro è un gesto politico, per liberarci dai pregiudizi sull’età. Da «Porci con le ali» a Age Pride si delinea la parabola della vita, dalla gioventù a oggi... Ho scritto una trentina di romanzi che compongono un autoritratto di gruppo della mia generazione. Dall’adolescenza fino a questa sorprendente terza e penultima tappa della nostra carriera di esseri umani.. A proposito di fasi della vita, i suoi libri sono lo specchio di queste tappe. Quale sente più suo? Ho amato molto «La Guerra dei figli» in cui racconto gli anni Settanta. Ma anche gli ultimi cinque, compreso «Avanti parla», quello in cui affronto la vecchiaia di una terrorista che fa i conti con il suo passato. •.

Maria Vittoria Adami

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