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COSCIENZE.

IL SILENZIO & IL GRIDO

Tra Martin Heidegger, filosofo già di simpatie naziste e Paul Celan, poeta sopravvissuto alla Shoah ci fu un «in-contro»: il pensatore non fece autocritica
Martin Heidegger, accusato di complice silenzio sul nazismo
Martin Heidegger, accusato di complice silenzio sul nazismo
Martin Heidegger, accusato di complice silenzio sul nazismo
Martin Heidegger, accusato di complice silenzio sul nazismo

Da una parte Martin Heidegger, il «filosofo dell'Essere», uno dei più importanti e studiati del Novecento con l'indelebile colpa di avere aderito al nazismo; dall'altra Paul Celan, il «poeta oscuro», che portava nel corpo e nell'anima lo strazio della Shoah (i suoi genitori vennero uccisi nel campo di concentramento di Michajlovka in Ucraina) e che nel 1970 a Parigi si uccise gettandosi nella Senna dal ponte Mirabeau.
Sul loro incontro, avvenuto il 25 luglio del 1967 nella Hutte di Todtnauberg dove Heidegger abitava, molto si è scritto in questi anni ma in occasione della Giornata della Memoria, Laura Darsiè, psicanalista, ha pubblicato un nuovo studio — Il grido e il silenzio. Un in-contro fra Celan e Heidegger (Mimesis, 245 pagine, 20 euro) — in cui analizza quel lungo dialogo a distanza tra il poeta e il filosofo, culminato infine con una conversazione nei boschi della Foresta Nera nel corso della quale l'autore di «Essere e tempo» non disse però quelle parole di condanna al nazismo che Celan s'attendeva.
Ebreo e vittima della follia nazista, Celan aveva letto con passione i libri di Heidegger: Essere e Tempo e poi quelli della cosiddetta «svolta», come ricorda Otto Poggeler, amico del poeta: «per me il secondo grande stimolo a seguire Heidegger anche nella sua tarda filosofia provenne da Celan. Nei miei colloqui con Celan era sempre lui l'heideggeriano›.
L'INCONTRO era stato propiziato dopo una lettura delle poesie di Celan organizzata a Friburgo.
Il poeta aveva accettato volentieri, sicuramente per approfondire molti temi del pensiero del filosofo, soprattutto in relazione al linguaggio legato alla poesia, principalmente a quella di Holderlin. Ma dal pensatore che tanto stimava e del quale condivideva il pensiero, Celan voleva prima di tutto quella parola che, invece, non arrivò.
Nel libro degli ospiti della baita del filosofo, Celan lasciò queste poche righe: «Nella Huttenbuch, con lo sguardo rivolto alla stella della fonte, con una speranza di una parola a venire, una parola a venire nel cuore. 25 luglio 1967/Paul Celan». E nella poesia Todtnauberg sarà più tragicamente esplicito: «nella Hutte,/la riga del libro/ - quali nomi ha accolto/prima del mio? - la riga/ in questo libro/inscritta di/una speranza, oggi,/dentro il cuore, per una/parola/a venire/di un uomo di pensiero,/prati silvestri, umidi e in dislivello,/orchidea e orchidea, una ad una,/parole crude, più tardi, in viaggio,/senza veli,/chi ci guida, l'uomo,/ascolta anche lui,/percorsi a metà/i sentieri di tronchi/nell'alta torbiera,/umido,/molto». Pur nella delusione il poeta in due versi (percorsi a metà/i sentieri di tronchi) cita indirettamente gli scritti del filosofo (Holzwege-Sentieri erranti nella selva).
L'autocritica per la sua adesione al nazismo non ci fu, d'altra parte Heidegger, anche nell'intervista rilasciata a Der Spiegel e pubblicata solo nel 1975, fu sempre vago sul periodo in cui fu rettore dell'università di Friburgo, nominato dopo il suo famoso discorso intitolato L'autoaffermazione dell'università tedesca che sicuramente suonò gradito al regime. Karl Lowith, pur definendolo «di alto tenore filosofico» non esitò a sottolinearne l'ambiguità: «chi lo ascolta alla fine non sa se deve prendere in mano la silloge dei presocratici curata da Diels o marciare con le S.A.», le prime camicie brune del nazismo.
Nel libro di Laura Darsiè, come scrive Massimo Marassi nell'introduzione, è spiegato come l'incontro tra i due era destinato a rimanere un «in-contro», cioè un fallimento in quanto rappresentava solo l'occasione di dare presenza a una differenza incolmabile, «a due direzioni diametralmente opposte di interpretare il mondo. Il linguaggio di Heidegger è il linguaggio dell'essere, il più lontano, che parla nell'uomo; quello di Celan è, di contro, il linguaggio della vicinanza, della stretta di mano, che va verso l'altro e apre lo spazio del riconoscimento, condensa la vita con le cose, ma patisce la cesura delle parole».

Paolo Barbieri

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