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Storia e memoria

Il 25 aprile, Liberazione nel segno tricolore di Giuseppe Mazzini

Partigiani della brigata "Mazzini" divisione "Nanetti"
Partigiani della brigata "Mazzini" divisione "Nanetti"
Partigiani della brigata "Mazzini" divisione "Nanetti"
Partigiani della brigata "Mazzini" divisione "Nanetti"

Insieme al 10 marzo, giorno anniversario, la data più significativa per ricordare Giuseppe Mazzini nel centocinquantesimo della sua morte è senza dubbio il 25 aprile. Quello che unisce il profeta dell'Italia indipendente, unita e repubblicana alla festa della Liberazione dal nazifascismo è infatti un legame strettissimo le cui radici affondano in tre opere antesignane della lotta partigiana: Della guerra d'insurrezione conveniente all'Italia (1833), Della guerra d'insurrezione (1849) Partito d'azione. Della guerra d'insurrezione (1853).

Nati sulla scia de La guerra d'insurrezione per bande. Trattato dedicato ai buoni italiani da un amico del Paese pubblicato nel 1830 da Carlo Bianco di Saint Jorioz, ex ufficiale sabaudo affiliato alla carboneria e attivissimo combattente per la causa della libertà, questi scritti di Mazzini delineano con nettezza «la guerra d'insurrezione per bande» come «guerra di tutte le nazioni che s'emancipano da un conquistatore straniero» e tracciano le linee guida e le tecniche di quella guerriglia che, in condizioni d'inferiorità militare, si offriva come unico mezzo per lottare in nome dell'Italia contro la tirannide «straniera e domestica» cancellando «dalla fronte degli insorti l'impronta della servitù» ed educando gli animi «singolarmente all'indipendenza e a quella vita attiva, potente che fa grandi i popoli».

Sorpassato dalla guerra degli eserciti regolari e dei corpi volontari e garibaldini, questo modello trovò però attuazione non tanto nel Risorgimento quanto piuttosto dopo l'8 settembre 1943; fu proprio allora che una nazione sprofondata nella catastrofe dalla guerra di Mussolini e in balia di eserciti stranieri, trovava la via del riscatto «scatenando, contro i nazifascisti, la «guerriglia» profeticamente intuita cent'anni prima come salvifica per l'Italia nascente» (Pozzani). Ma il dipanarsi di quel filo tricolore che unisce Risorgimento e Resistenza e che la storiografia d'impronta marxista, prigioniera di un ottuso dogmatismo, ha a lungo negato o sminuito, trova in Mazzini uno snodo imprescindibile non solo per la teorizzazione della «guerra per bande».

Centrali sono anche i valori di giustizia e libertà che attraverso un pensiero politico incardinato sull'idea di Dovere e sul principio che «la patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo» accomunarono i combattenti di quelle due stagioni insieme all'approccio deontologico a una battaglia da affrontare anche ad armi impari, come enunciato nelle Note autobiografiche con un perentorio «si poteva e quindi si doveva lottare per la libertà della patria». Va inoltre ricordato che il Mazzini della Resistenza rappresentava di fatto una risposta all'appropriazione indebita operata dal regime sulla figura del patriota genovese storpiandone il pensiero per ascriverlo tra gli antesignani dell'Italia littoria; storpiatura reiterata dal fascismo di Salò con un grottesco accostamento ispirato alla forma repubblicana dello stato fantoccio nato all'ombra delle armi tedesche. Brigate partigiane intitolate a Mazzini, a Mameli, alla Giovine Italia, eredi dell'azione condotta dai repubblicani nella prima stagione dell'antifascismo, nacquero in tutta Italia: a Roma, sotto la guida di Giorgio Braccialarghe già volontario in Spagna nelle Brigate Internazionali, in Veneto e in Friuli, in Lombardia, dove se ne conteranno ben cinque, in Romagna, con una nutrita schiera di combattenti che avevano temprato nel mazzinianesimo il loro antifascismo, lo stesso del triestino Gabriele Foschiatti morto a Dachau, irredentista, eroico combattente della Grande Guerra e legionario fiumano, un «mazziniano puro, un cavaliere dell'onestà e della giustizia», come lo descrisse Giani Stuparich. E poi ancora in Liguria e in Piemonte, dove la testata del giornale partigiano «Giustizia e Libertà» recava la frase di Mazzini «Voi avete diritto alla libertà e dovere di conquistarla contro qualunque potere la neghi» e dove Duccio Galimberti, comandante dalle straordinarie qualità umane e organizzative dotato di un carisma e di un coraggio ai confini del mito, scriveva in una delle ultime lettere a pochi giorni dalla cattura e dalla fucilazione: «Io la sento come una crociata la nostra ed un dovere morale da cui non ci si deve ritirare. In questo ringrazio la Mamma di avermi così permeato di spirito Mazziniano, di culto del dovere».

Ed è proprio la figura di Galimberti, insieme a quelle di tutti i combattenti della Resistenza che sacrificarono consapevolmente la propria vita da martiri della libertà, a richiamare l'ultimo cruciale legame tra il 25 aprile e Mazzini. Il Mazzini che nel 1844, rendendo omaggio ai fratelli Bandiera ed evocando la straordinaria potenza simbolica del loro olocausto scriveva: «Il martirio non è sterile mai. Il Martirio per una idea è la più alta formula che l'Io umano possa raggiungere ad esprimere la propria missione. I sagrificati in Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'Uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta Europa l'opinione che una Italia sarà».

Lottare fino all'estremo sacrificio anche quando la forza dell'oppressore appare tanto smisurata da non lasciare alcuna speranza: una parola d'ordine che nel segno di Mazzini il Risorgimento ha trasmesso alla Resistenza e che ancor oggi, nella battaglia combattuta dal popolo ucraino per difendere la propria libertà, si conferma tragicamente attuale..

Stefano Biguzzi

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