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«Ho fatto un film sulla morte ma amo la vita»

GIANCARLO GIANNINI
Giancarlo Giannini, al cinema con Ti ho cercata in tutti i necrologi
Giancarlo Giannini, al cinema con Ti ho cercata in tutti i necrologi
Giancarlo Giannini, al cinema con Ti ho cercata in tutti i necrologi
Giancarlo Giannini, al cinema con Ti ho cercata in tutti i necrologi

«Il film nasce da un racconto vero che mi hanno riferito moltissimi anni fa. Mi dissero che in Africa un gruppo di cacciatori, in cerca di emozioni nuove, avevano iniziato a cacciare esseri umani. Degli individui, disperati, per soldi accettavano di fare le prede. Anche se fossero stati uccisi il denaro, un milione dell'epoca, sarebbe stato consegnato alla famiglia». Giancarlo Giannini parla con orgoglio del suo nuovo film: Ti ho cercata in tutti i necrologi (da ieri nelle sale), il secondo da regista, a ventisei anni anni da Ternosecco. Ne è anche protagonista, assieme al premio Oscar F. Murray Abraham e Silvia De Santis. Vi interpreta Nikita, l'uomo che accetta di essere cacciato e che diventa dipendente da questa situazione estrema. «Il film non è solo sulla caccia, racconta un individuo alla ricerca della propria identità. Si parla di vita, morte e, forse, di una seconda vita. Nikita non capisce bene qual'è la differenza tra bene e male. Stiamo vivendo un momento storico di grande confusione, abbiamo perso il senso delle cose, tutti dicono tutto e niente. Io, da cattolico, lo vedo come un film religioso: si parla anche di reincarnazione, nel finale c'è l'immagine di quello che potrebbe essere il Paradiso, dove la vita continua e dove, forse, le cacce non finiscono mai». La scelta del titolo è molto particolare. Non ha paura che possa scoraggiare gli spettatori? Non ho certo voluto fare un film convenzionale! È una frase che contiene mistero. Nikita, oltre a essere un giocatore d'azzardo, lavora alle pompe funebri ed è abituato a leggere i necrologi. Dopo aver incontrato un persona ed averla persa la cerca anche lì. La parola «necrologi» può spaventare? È un problema di chi ha paura della morte e quindi anche della vita. Io ho rischiato sempre nella vita, non mi diverto certo a fare cose banali! Dico sempre agli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia: cercate, la novità, la curiosità. Dove ha effettuato le riprese? In Canada, vicino a Toronto, dove ci sono paesaggi straordinari. Per la caccia finale ho scelto l'Ariziona, la Monument Valley. Un luogo che amo. Senti la presenza dell'uomo nella sua purezza, circondato da esplosioni di natura. Sei a contatto con l'infinito, col silenzio. La transizione da attore a regista è stata difficile? Fare il regista è complicato. Non si tratta solo di riprendere immagini, quello lo fanno anche i bambini e con estrema fantasia, basta mettergli in mano una telecamera e comprendono immediatamente come fissare l'immagine. Farlo con certi stilemi, sul grande schermo, davanti al mondo, è un'altra cosa. Ho cercato di capire che cosa sono la prospettiva, la fotografia e soprattutto la luce. Essere regista significa anche suggerire alla troupe e al pubblico i segreti di un mestiere magico, che non è reale. Non ci si trasforma nel personaggio: si è sempre se stessi. Come insegno ai miei studenti: «Guardate che non siete voi a recitare, è il pubblico che recita per voi. Voi siete solo quelli che indicano la strada».

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