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Hervé Guibert la fotografia come desiderio

La fotografia - di famiglia, di viaggio, erotica, che non si è riusciti a scattare o come pratica d’amore - è la grande protagonista del prezioso libro, volutamente senza foto, «L’immagine fantasma» di Hervé Guibert (Contrasto, pp. 190, 14,90 euro). Un classico della letteratura francese che esce finalmente in Italia, a 40 anni dalla prima edizione e inaugura la nuova collana «Lampi». Pubblicato in Francia da le Editions de Minuit nel 1981, «L’immagine fantasma» arriva nelle nostre librerie a 30 anni dalla morte di Guibert, nella traduzione di Matteo Martelli con la prefazione di Emanuele Trevi e un formato che ricorda quello di un taccuino. Scrittore, giornalista, fotografo, critico per il quotidiano Le Monde, Guibert, morto di Aids nel 1991, molto legato all’Italia tanto da voler essere sepolto sull’Isola d’Elba, ci racconta il suo rapporto con la fotografia in testi che insieme diventano una narrazione del nostro modo di vivere le immagini dove «l’unica fotografia che conta è quella che prende forma nella camera oscura della mente di chi legge», dice Trevi. «Siamo in un momento in cui si consuma e si realizza tantissima fotografia, a volte anche senza pensarci. Forse avere un libro, una serie di brevi ma fulminanti riflessioni su quello che la fotografia è, senza avere le fotografie, ci può aiutare un po’ di più a capire quanto fa parte di noi, della nostra vita e come, anche all’interno del nostro ricordo, sia parte dei nostri desideri. Pensare a un’immagine vuol dire in qualche modo desiderare qualcosa. Penso che questa sia forse la cosa più importante che questo libro può offrire oggi. Una riflessione un po’ controcorrente rispetto a quello che è il modo normale di pensare la fotografia e di consumarla», spiega Alessandra Mauro, direttrice editoriale di Contrasto. «L’immagine fantasma» è formato da una sessantina di brevi testi in cui Guibert ripercorre parte della sua vita, sempre sul versante dell'immagine. «Il primo testo racconta di quando voleva fare una fotografia alla madre, di come pensa di sistemarla, di come le cambia la pettinatura e di come mandi via il padre dal set che crea. Ma poi Guibert si rende conto di non aver agganciato il rullino e quindi la fotografia non può essere fatta. L'immagine percorre questo libro in ogni parte però rimane un fantasma, è quello che avresti voluto realizzare», racconta la Mauro. Guibert ci racconta che cosa rappresentano le fotografie sui dischi, le immagini di quando era piccolo, la differenza fra fotografia erotica e pornografica. «Ciò che mi ha spinto a scrivere è stato il rimpianto per le foto sbagliate, le foto che non sono riuscito a scattare, che non ho potuto fare, che si sono rivelate invisibili, come fantasmi. Ho pensato di scrivere per ritrovare la stessa sensazione che volevo dare a quelle foto», disse Guibert nel 1981. Tra gli amici più stretti di Michel Foucault, Isabelle Adjani e Sophie Calle, Guibert utilizza talvolta delle iniziali dietro le quali si nascondono amici importanti. In qualche modo si tratta di un libro che sembra seguire, anche se con tutte le differenze del caso, «La camera chiara» di Roland Barthes.•.

Mauretta Capuano

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