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Goldin, il Van Gogh dimenticato e ritrovato

Marco Goldin davanti ai campi di grano dipinti da Van Gogh a AuversMalco Goldin e Franco Battiato   davanti a un quadro di Van Gogh. Sotto, la locandina
Marco Goldin davanti ai campi di grano dipinti da Van Gogh a AuversMalco Goldin e Franco Battiato davanti a un quadro di Van Gogh. Sotto, la locandina
Marco Goldin davanti ai campi di grano dipinti da Van Gogh a AuversMalco Goldin e Franco Battiato   davanti a un quadro di Van Gogh. Sotto, la locandina
Marco Goldin davanti ai campi di grano dipinti da Van Gogh a AuversMalco Goldin e Franco Battiato davanti a un quadro di Van Gogh. Sotto, la locandina

È nato nel 2017 e porta a compimento tanti anni di studio dedicato al grande pittore di Zundert. «Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato», progetto ideato e realizzato da Marco Goldin, coniuga immagini, parole e musica attraverso un romanzo nella particolare forma di diario e uno spettacolo teatrale, di cui lo studioso cura anche la regia. Marco Goldin, intanto dove nasce il suo amore per Van Gogh? È una passione nata poco per volta, quando ho cominciato a studiare in modo approfondito la storia dell’impressionismo, tema che poi è diventato centrale, soprattutto in alcuni anni, nella mia attività di curatore. Una lontana visita ai musei olandesi, io poco più che ventenne, aveva costituito un precedente che poi è rimasto conficcato in me. Dopo avere inserito alcune sue opere nelle mie esposizioni già nei secondi anni Novanta, nel 2002 gli ho dedicato la prima mostra monografica, con i primi prestiti che mi arrivavano dal Van Gogh Museum. È stato l’inizio di un percorso che dura tuttora, con oltre due milioni di visitatori per le sei grandi mostre che ho curato sul pittore olandese, ultima quella tra 2020 e 2021 a Padova, purtroppo in piena pandemia. A mano a mano poi ero venuto studiando, approfondendo e ritraducendo il suo meraviglioso epistolario, per ricostruire la sua vita e tutto ciò è sfociato nel libro uscito due anni fa per La nave di Teseo. Il legame tra vita e colore mi ha sempre affascinato nel lavoro di Van Gogh, perché lo ha condotto verso territori che non sono stati di alcun altro o quasi nell’intera storia dell’arte. Di Van Gogh è stato detto, scritto, studiato. Eppure, c’è ancora qualche mistero, qualche dettaglio sulla vita tormentata di questo artista che merita di essere indagato? Gli studi e le ricerche sulla vita e l’opera di Van Gogh proseguono senza sosta e tante cose nuove emergono. In questo senso utili progressi sono giunti più di una volta, anche recentemente, dall’analisi dei suoi dipinti con la più moderna diagnostica, facendo venire alla luce altre opere sotto quelle già conosciute. Questo permette di riconsiderare alcune fasi della sua straordinaria storia. Come si svilupperà l’intero progetto «Gli ultimi giorni di Van Gogh. Il diario ritrovato»? È un progetto che ha cominciato a prendere forma in me cinque anni fa, quando ho scritto le prime pagine del libro che uscirà il prossimo settembre per Solferino. Poi però l’ho abbandonato. La mostra, tanto funestata dalla pandemia, iniziata nell’ottobre 2020 a Padova, ha costituito per me un nuovo inizio e da lì ho messo insieme tutte le tessere del mosaico. Oggi il progetto è composto dal libro, da cui tutto parte, scritto in forma di diario e in cui faccio parlare Van Gogh dandogli la mia voce. Un diario non vero e però verosimile, sulle ultime settimane della sua vita, che nella finzione letteraria, e poi anche teatrale, faccio ritrovare dal signor Ravoux, il titolare della locanda di Auvers dove Van Gogh ha vissuto dalla fine di maggio alla fine di luglio del 1890, quando si è sparato al petto. Da quel libro nasce lo spettacolo teatrale che debutterà nella seconda metà di ottobre. Inoltre, con cinque puntate sempre sugli ultimi giorni di vita di Van Gogh, prenderà il via a fine agosto il mio canale di podcast. Infine, nella primavera 2023 apparirà un film documentario sulla vita, l’opera e i luoghi del pittore, che sarà la sintesi da parte mia di anni di riprese e lavoro tra Olanda e Francia, seguendo i passi di Van Gogh. Perché ha scelto la forma del teatro per proporre il nuovo racconto? La forma teatro da quasi vent’anni accompagna le settimane che precedono l’apertura di una mia nuova mostra. Il teatro è stato lo strumento evocativo che mi ha meglio consentito di coniugare le immagini dei quadri con la parola e con la musica. L’unione e l’equilibrio tra le varie arti è sempre stato un mio interesse, fin dai tempi dell’università. A un certo punto, con la tournée teatrale sulla storia dell’impressionismo tra il 2018 e il 2019, che ha fatto tappa anche a Verona e Brescia, il teatro è diventato forma a sé, dunque slegata da una mostra. Quella prima, fortunata esperienza in questo senso, con i 25mila spettatori totali in giro per l’Italia nelle trenta date fatte, ha generato in me il senso di un nuovo inizio. Trovo naturale che avvenga il passaggio tra la scrittura racchiusa in un libro e l’azione sul palcoscenico, che per quanto mi riguarda è soprattutto costruzione poetica in cui le immagini, la musica e la parola sono al servizio della bellezza che si manifesta. Ci può raccontare il suo rapporto con i luoghi di Van Gogh? Quanto la sua pittura fu legata ai paesaggi, agli sfondi che fecero da contorno alla sua vita? Il rapporto che ho con i luoghi in cui ha vissuto Van Gogh è strettissimo. Questo emergerà in tutti i capitoli di cui l’intero progetto è composto. Se penso al libro, non sarebbe potuto nascere senza anni di frequentazione da parte mia di tutti i suoi spazi, dal Brabante in cui era nato, fino alla Provenza e al villaggio di Auvers dove è morto. Mi sono immerso in luci meravigliose a tutte le ore del giorno, dalle albe piene di brume in Olanda alle notti stellate sul Rodano o sui campi di grano ad Arles. Tutto questo diventerà il film documentario che sto preparando su Van Gogh e tante di quelle immagini le utilizzerò nello spettacolo, con proiezioni al laser in altissima definizione sui tre schermi che monteremo sul palco. Ritiene che siano le opere di Van Gogh, con il suo tratto inconfondibile, a sedurre tuttora il pubblico e gli estimatori, o c’è dell’altro? Quanto della sua inquietudine traspare e conquista chi ammira le sue opere? È chiaro come il binomio arte e vita in Van Gogh, per come ci è stato presentato nel corso degli anni, sia determinante. Forse nessun altro pittore nell’intera storia dell’arte si è visto assegnare questo ruolo di profeta e quasi di sacerdote di un colore drammatico ed esacerbato. Tenga presente poi che la «pazzia» di Van Gogh ha spesso alimentato falsi miti in tal senso, che da tempo, assieme anche ad altri amici storici dell’arte soprattutto olandesi, cerco di smontare, lettere alla mano. Il libro che ho pubblicato due anni fa, sulla vita del pittore riletta attraverso l’epistolario, parte proprio da questo presupposto: Van Gogh non era pazzo. Ci racconta la sua scelta di farsi accompagnare dalle musiche di Battiato? È stato un desiderio immediato, fin da quando ho deciso di far diventare il libro anche uno spettacolo teatrale. Franco Battiato aveva compiuto con me un gesto di grande generosità quando, nel 2014, mi aveva consentito di utilizzare alcune sue musiche per lo spettacolo teatrale che ho realizzato ispirato al capolavoro di Vermeer, la Ragazza con l’orecchino di perla, oggetto di una mia mostra a Bologna quell’anno. Tra l’altro fece parte anche del cast come cantante, assieme ad Alice e una allora giovanissima Francesca Michielin, che aveva vinto X Factor l’anno prima. Devo ringraziare la famiglia Battiato e Francesco Cattini, lo storico manager di Franco, che mi hanno consentito di utilizzare le composizioni del grande musicista catanese. Battiato amava Van Gogh e ne coglieva la forza di carne e spirito insieme. Sono veramente ansioso di sentire risuonare in teatro i suoi brani, che saranno solo strumentali ovviamente, associati alle suggestive creazioni video che animeranno i cento minuti di spettacolo. Lei si dedica a questo progetto da diversi anni. Che effetto le fa essere arrivato, oggi, a una compiutezza di un lavoro così intenso, anche emotivamente? È un lavoro a cui tengo tantissimo, uno dei progetti che più mi hanno coinvolto nel corso della mia vita. Subisco il fascino delle ultime settimane della vita di Van Gogh fin da ragazzo, all’inizio ovviamente da semplice frequentatore di mostre e musei e di lettore delle sue lettere. Poi da studioso e curatore. Adesso tutto questo sta per diventare forma formata, anche se con la consapevolezza che ogni cosa cambia, anche ciò che sembrerebbe già fissato perché appartenente alla storia passata. Ma sappiamo che non è così. Un diario è un racconto intimo, personale, privato. Che emozioni ha provato durante la creazione di questo luogo astratto e immaginario di confidenza e confessioni, per il quale si è ispirato alle lettere e ai documenti sul grande pittore? Amo affidarmi alla poesia, in qualunque forma essa si manifesti. Le emozioni nascono sempre da lì, in quel dialogo assoluto, eppure fragilissimo, tra il qui e ora e la dilatazione immensa.•.

Silvia Allegri

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