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GOGOL, LE PROFEZIE DELLE ANIME MORTE

Nikolaj Gogol (1809-1852) il più grande scrittore ucraino dell’800
Nikolaj Gogol (1809-1852) il più grande scrittore ucraino dell’800
Nikolaj Gogol (1809-1852) il più grande scrittore ucraino dell’800
Nikolaj Gogol (1809-1852) il più grande scrittore ucraino dell’800

Le notti del febbraio 1852 per Nicolaj Gogol furono terribili. Perdendo la capacità di sopportare i mali fisici e nervosi che lo attanagliavano da anni, rinunciò a cibo e cure, smise di parlare, passò in fretta dall’agonia al delirio, fino alla morte. Ma non lasciò in sospeso il conto che gli premeva saldare: fece bruciare l’ultima parte del poema «Le anime morte», il principale cruccio della sua anima. Un’opera più volte rifinita, corretta, stracciata, ripresa, condannata come l’artefice delle sue sventure. Non poteva immaginare che la letteratura l’avrebbe poi consacrato come il massimo scrittore ucraino dell’Ottocento, con una capacità profetica senza pari. Sempre insoddisfatto di sé, incapace di dare forma definitiva ai suoi scritti - tra cui «Veglie alla fattoria presso Dikan’ka», le raccolte di racconti «Mirgorod» e «Arabeschi», «Il naso», «Il cappotto», la commedia «Il revisore» -, Gogol fu un incompreso anche all’università, dove le sue lezioni venivano ritenute noiose da tutti, tanto che si congedò con «ignorato sono salito sulla cattedra, ignorato ne discendo». In perenne viaggio per l’Europa con frequenti crisi interiori, accolto freddamente dalla critica pur ammettendo di comprenderlo poco, il giovane letterato ucraino credeva nella sua vocazione solo grazie all’incoraggiamento del maestro Puskin. Ma a sconvolgergli la vita, poco più che trentenne, fu l’ispirazione delle anime morte e di Cicikov, i soggetti del suo capolavoro: da allora Gogol, disceso agli inferi per raccontare l’abisso della patria e della sua gente, fu ritenuto un Dante moderno, testimone del declino dell’epoca zarista ma pure rivolto alle generazioni future come profeta di una caduta irreversibile. La trama riguarda un geniale inganno. Il piccolo possidente Cicikov per arricchirsi escogita una beffa contro la burocrazia statale e gli sciocchi: va in giro per la sua terra a comprare «anime morte», chiedendo ai proprietari in crisi di vendergli i servi della gleba deceduti che non sono passati al censimento, quindi ancora vivi per il fisco, così da trasferirli formalmente in terre bisognose di manodopera. «Se io comprassi tutti questi contadini che sono morti, mentre ancora non si sono redatte le nuove liste di censimento; ne acquistassi, poniamo, 1000, le ipotecassi presso il Consiglio di Tutela, e il Consiglio di Tutela, poniamo, desse 200 rubli per anima, eccomi subito un capitale di 200 mila rubli! E ora è proprio il momento opportuno: poco fa c’è stata un’epidemia e di gente ne è morta, se Dio vuole, a bizzeffe. I possidenti hanno perduto il perdibile al gioco, hanno fatto baldorie e hanno scialacquato con tutti i sentimenti; mezzo mondo è scappato a Pietroburgo, a impiegarsi; i terreni sono abbandonati, mandati avanti alla carlona, le tasse si pagano di anno in anno più a stento: ben volentieri, dunque, chiunque me le cederà, se non altro per il fatto di non pagare per esse le tasse». Dal pensiero all’azione, Cicikov perpetua la truffa concludendo gli affari con grandi abbuffate e alzate di calici a tavola. Incontra il governatore, il capo del tribunale e della polizia, il direttore delle fabbriche statali e altri notabili di un governatorato indefinito della Russia: sono questi tipi umani le anime morte - un avaro, un patetico, uno scroccone, un qualunquista, un depravato - e non i servi defunti acquistati per pochi rubli. Gli interlocutori accettano per non sborsare denaro per le tasse sui servi della gleba, mentre Cicikov ottiene l’assegnazione di terre dimostrando di possedere un certo numero di coloni, ma soprattutto ricevendo l’ammirazione e l’adulazione dovute a un uomo di successo che si è elevato di rango. Gogol si prende cura della «commedia umana» con originali scelte di scrittura: pagine e pagine senza eventi, chiacchiere tra personaggi senza logica, condotte sussiegose di una società grigia e vacua, perdite di tempo su aspetti insignificanti, sentimenti finti e verbosità per secondi fini, nonché tale cinismo della compravendita di persone come merci. Tanto che sulla graziosa figlia sedicenne del governatore, Cicikov ha il coraggio di dire «se a questa fanciulla si aggiunge una bella dote, diciamo un 200 mila, ne può venir fuori un bocconcino molto appetitoso». Il romanziere presenta un mondo di mercanti demoniaci: una terra miseramente venduta; il profitto individuale a danno dello Stato con il gioco del cavillo burocratico; una granitica corruzione senza remissioni; le persone come numeri nell’identità degli umiliati e offesi, poi approfondita da Dostoevskij. Riprendere oggi il più grande poema ucraino, nell’occasione dei 180 anni dalla prima pubblicazione (1842), induce molti a interrogarsi se quelle profezie si stanno avverando nel contesto storico attuale russo-ucraino. Ci si può riflettere, ma la grandezza di Gogol è nella sua risposta ai critici: bisogna guardare non ai mali fuori di noi, pensandoli di una certa società, ma all’inferno intimo dell’uomo, tragicamente perenne.•.

Stefano Vicentini

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