<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

dell’economista in un “facile” saggio Utet OLTRE I ROBOT

I robot saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidianaLa copertina del saggio Marco Magnani, economista
I robot saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidianaLa copertina del saggio Marco Magnani, economista
I robot saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidianaLa copertina del saggio Marco Magnani, economista
I robot saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidianaLa copertina del saggio Marco Magnani, economista

A riprova che Marco Magnani è un economista umanista, una citazione di Dante titola il suo ultimo saggio, “Fatti non foste a viver come robot. Crescita, lavoro, sostenibilità: sopravvivere alla rivoluzione tecnologica”, 270 pagine, Utet. Docente alla Luiss e ad Harvard, un passato da analista per banche e società finanziarie, membro di think tank internazionali, Magnani si interroga su alcuni nodi: fino a quando crescita e occupazione viaggeranno con saldi positivi? E cosa rischia il lavoro veramente, cosa rischia l’ambiente con lo sviluppo tecnologico inarrestabile? E’ guardando ai posti di lavoro che scompaiono e ai Fridays for future di Greta, professore, che ha provato a disegnare uno scenario? Esaminando la storia economica, è lampante che le innovazioni tecniche - dalla ruota in poi - ed oggi tecnologiche hanno portato sempre cose positive, dall’aumento di occupazione alla crescita. Alla fine il saldo segna sempre un “più”. Ma oggi quel “più” è condizionato: l’aumento di produttività grazie alla tecnologia fa i conti coi vincoli di sostenibilità perchè all’ambiente siamo sensibili; con quelli demografici perchè la natalità è in declino in Europa; con quelli alimentari ed energetici sul fronte delle risorse. Che sostenibilità sociale abbiamo davanti? Partiamo dal lavoro, quello “rubato” dai robot. La tecnologia porta l’economia su frontiere non immaginate. Ci chiediamo quali sono i nuovi mestieri di fronte a tante mansioni distrutte, se saranno ben retribuiti, se saranno di qualità. Invece chiediamoci dove si apriranno i nuovi posti e le nuove occasioni, perchè il lavoro è mobile. I ruoli in agricoltura in fabbrica erano chiari, oggi è meno facile capire dove si creano occasioni, dove c’è nuova impresa, dove si aprono servizi. E la competitività dei territori? La polarizzazione della geografia del lavoro ci dice che ci sono zone a forte innovazione e altre che rischiano l’isolamento. Non si soccombe se... Se si leggono i processi con la regola del “governo”: così come storicamente l’uomo è stato “pastore“, dobbiamo non arretrare di fronte alla macchina. Rifiutiamo di farci sostituire dalla tecnologia e mettiamola al nostro servizio: solo così usciremo con un saldo positivo. Io critico le teorie del lavorare meno per lavorare tutti: il lavoro non è solo un mezzo per distribuire reddito ma è identità delle persone. La sua proposta su questo? Diversificare il lavoro e articolare la distribuzione della ricchezza prodotta. Dico no al reddito di cittadinanza che toglie soldi per darli a chi non lavora. Facciamo invece la predistribuzione: scuola e formazione adeguata per tutti, creiamo e coltiviamo talento e innovazione. Prestito universale e capitale di dotazione. Ogni bimbo che nasce sia anche azionista della società del futuro. Già predisposto all’innovazione, quella che ci ha sempre consentito di superare i vincoli. Lei elenca una serie di innovazioni dirompenti, dall’aratro all’ingegneria genetica, dalla macchina a vapore a internet. Hanno sempre avuto un doppio volto: progresso e minaccia. Ma diluiti nel tempo. I cambiamenti avvenuti in questi 40 anni sono invece pari a quelli di qualche secolo ed hanno messo in discussione anche l’etica, a partire dalle manipolazioni genetiche all’intelligenza artificiale che scheda tutto di noi. Tutto questo non è minaccia se l’uomo resta al centro e tira le fila del gigantesco tsunami di lungo periodo, di fronte al quale si ha spesso l’impressione di una economia che “vede” prima della politica mentre quest’ultima non vede al di là del contingente. Ci sono lavorazioni spostate fuori Italia e fuori Europa a causa del costo del lavoro e che ora ritornano. I robot cosa c’entrano? Il costo del lavoro è cresciuto ovunque, anche nei paesi orientali, e sull’altro fronte la robotica ha dimostrato di livellare le economie. Il reshoring in atto dice che la qualità fa la differenza. Territori perdenti e vincenti? Ci sono luoghi ben posizionati perchè hanno reagito rapidamente. Hanno creato nuovi mestieri e indotti, hanno investito. Chi vive sugli allori è declinante. Finlandia e Singapore annusano l’aria e anticipano gli eventi. Così alcune zone degli Usa, non necessariamente la Silicon Valley. Sul fronte italiano direi Milano e il Nordest sono da sempre luoghi reattivi. La seconda emergenza non robotica è quella ambientale. E’ una sfida totalmente umana. Sono stato sconvolto dalle foto delle sei isole di plastica negli oceani. L’inquinamento è spaventoso e non si risolve con la plastic tax che penalizza il consumatore finale. Il tema è gigante, riguarda la demografia, l’energia del futuro, l’alimentare e la tecnologia. Bisogna prendere decisioni - non rinviabili- che consentano una crescita sostenibile e un’equa partecipazione ai frutti del progresso. •

Nicoletta Martelletto

Suggerimenti