<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
Gli storici veronesi sul libro «Fuga dal carcere» del regista

«De Bosio scrive pagine di storia»

Gianfranco De Bosio con la copertina del libro
Gianfranco De Bosio con la copertina del libro
Gianfranco De Bosio con la copertina del libro
Gianfranco De Bosio con la copertina del libro

Immeritatamente rinchiuso in una nicchia storiografica locale, l'Assalto agli Scalzi oggi conquista la ribalta nazionale grazie al maestro regista e sceneggiatore Gianfranco De Bosio, prima che artista di cinema e teatro di fama, determinante figura della Resistenza veronese che, come anticipato ieri da L'Arena, a 96 anni pubblica il suo Fuga dal carcere. 1944, la liberazione di Giovanni Roveda (Neri Pozza) in libreria da domani.
Missione eroica che costò la vita a due gappisti e procurò il ferimento - per fuoco amico - del sindacalista antifascista del Pci liberato, i frenetici cinque minuti dell'Assalto agli Scalzi, del 17 luglio 1944, sono stati più volte raccontati da testimoni e protagonisti, fino al 2019 quando l'Istituto veronese della storia della Resistenza gli ha restituito lo spazio storiografico con una pubblicazione scientifica a più mani («Un carcere, un assalto, Viella 2019).
Ma con la sua testimonianza De Bosio fa sconfinare l'Assalto facendolo diventare racconto alla portata dei più e focalizzandosi sulla grandiosità dell'operazione: la liberazione di Roveda significò la liberazione del futuro padre costituente, senatore, primo sindaco della Torino liberata e poi segretario generale della Fiom.
«Quello di De Bosio è un ulteriore contributo nella storia di un evento veronese che a livello nazionale è stato forse sottovalutato», spiega lo studioso Olinto Domenichini, tra i massimi esperti della storia della Verona repubblichina e della Resistenza. «La grandezza stessa della figura di Roveda era nota ai tedeschi che avevano anche proposto il suo trasferimento in un campo di prigionia, per questioni di sicurezza. Avevano capito che era un personaggio cardine. E di questo abbiamo trovato i documenti».
Il Gap, formato da Berto Zampieri, 34 anni, Emilio Moretto Bernardinelli, 28, Lorenzo Fava, 24, Danilo Preto, 21, e Vittorio Ugolini, 23, col partigiano milanese Aldo Petacchi, 35 anni, alle 18.20 giunse in auto sotto il carcere, fece irruzione liberando Roveda. Ne nacque una sparatoria che costò la vita a Lorenzo Fava e Danilo Preto feriti e catturati dopo una rocambolesca fuga in macchina per il centro di Verona: il primo fu torturato e fucilato a forte Procolo, il secondo morì esanime non senza esprimere la fierezza di aver pagato il fio per salvare Roveda. «Il tutto ora è raccontato dalla fonte autorevole di un diretto protagonista della Resistenza veronese, un combattente vero, non uno dei tanti che si precipita in Arena alla fine della guerra per la consegna delle armi, come sottolinea proprio De Bosio alla fine del suo libro», continua Domenichini.
«Con questa sua memoria De Bosio ci conferma che fu cospiratore attento ed efficiente che aveva capito l'apparato repressivo di Verona. Non fu mai preso, cambiava nome e indirizzo di continuo. Nel suo racconto riprende nomi e fatti conosciuti aggiungendo però le sue considerazioni personali anche sulla questione mai chiarita dei ponti di Verona. Curioso anche il suo punto di vista dell'Assalto, dall'abitazione di via Marconi». Un dato che sottolinea anche Federico Melotto, direttore dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza: «È una testimonianza dal punto di vista privilegiato dell'appartamento vicino agli Scalzi. De Bosio, poi, torna anche sul fenomeno dei partigiani presentatisi in Arena che irritò chi la Resistenza l'aveva fatta davvero». Sono tombali le parole dell'autore in merito: «All'improvviso, appena finita la guerra, in Arena c'erano diecimila persone. Noi pochi veri combattenti per la libertà restammo a bocca aperta, increduli. Preferii allontanarmi disgustato».
Ma c'è un altro aspetto che Melotto sottolinea: «Le pagine di questo nuovo libro ci ricordano un tema interessante: la presenza di una rete diffusa di aiuti e sostegni ai gappisti e ai combattenti della Resistenza. Una categoria difficile da definire, anche nelle motivazioni che la spinse, ma comunque fatta di persone che aiutarono, curarono, nascosero, fornirono mezzi e appartamenti ai resistenti. L'unico modo di fare Resistenza in una città come Verona allora».
Qui c'era, infatti, il fulcro della Repubblica sociale italiana e gli uffici di Gestapo e Ss al palazzo dell'Ina. «Ma soprattutto», conclude Melotto, «torna nuovamente a galla la portata dell'Assalto agli Scalzi per liberare una persona come Roveda: il risultato finale andò oltre la storia di Verona. I gappisti affrontarono un sacrificio personale per una visione futura più ampia. Il tutto è ora raccontato dall'ultimo grande testimone della nostra Resistenza».

Maria Vittoria Adami

Suggerimenti