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MARCO SANTAGATA

Dante in love: «Beatrice fu il vero amore, sesso solo con Gemma»

Marco Santagata e Dante con Beatrice, da Dante Gabriel Rossetti
Marco Santagata e Dante con Beatrice, da Dante Gabriel Rossetti
Marco Santagata e Dante con Beatrice, da Dante Gabriel Rossetti
Marco Santagata e Dante con Beatrice, da Dante Gabriel Rossetti

È un Dante intimo quello che esce da Come donna innamorata (Guanda, 175 pagine, 16,50 euro), romanzo di Marco Santagata in gara al Premio Strega, su presentazione di Umberto Eco e Angelo Guglielmi. Romanzo, ma ben documentato: l'autore, nato a Zocca (Modena) nel 1947, è uno studioso del sommo poeta. Ha curato il Meridiano Mondadori sulle opere dell'Alighieri e ha già esordito nel racconto divulgativo con Dante. Il romanzo della sua vita, premio Comisso 2013.
Perché, dopo tanto studio, un'opera di fantasia dedicata a Dante?
Credo di essermi tanto affezionato a Dante al punto di volermi immedesimare in lui. Gli studi di critico e di storico portano in direzione della biografia. Ma ho voluto compiere un ulteriore salto: la ricostruzione fantastica, basata ovviamente sui relativamente pochi dati storici di cui disponiamo. Ho la presunzione che tutto ciò possa illuminarne di luce nuova l'opera.
Si sa poco sul sommo poeta, ma per Beatrice ci troviamo davanti a veri e propri vuoti: come li ha riempiti?
La mia Bice Portinari è una giovane donna non bellissima, dagli affascinanti occhi verdi. Ho dovuto immaginare molto perché Dante non ne fa mai nei suoi scritti un ritratto a tutto tondo. Si sa che fu data in sposa a un membro di una facoltosa famiglia, Simone dei Bardi, che il matrimonio non fu fecondo e che lei morì precocemente. Io le ho immaginato una vita non felice, di sposa ignorata dal marito appunto perché sterile, ma capace di dispensare a tutti il suo sorriso. Un personaggio quasi francescano. Forse quello di Dante per lei era un amore letterario. Più che la donna, Dante amava se stesso e la sua poesia. I poeti medioevali non potevano cantare lo splendore di un'innamorata defunta. Per cui quando l'amata muore Dante, profondamente turbato, si domanda se potrà continuare con quella poesia, che l'ha elevato anche socialmente. È allora che avviene nella sua mente, più che nel suo cuore, uno scatto: Beatrice è un dono di Dio, qualcosa di immensamente grande, che ha predestinato la sua vita. Ancora incerto di sè, colui che diventerà un gigante si convince di avere il ruolo di profeta. Ma è questa ambivalenza tra amore e non amore, sentimento metafisico o egoistico e interessato, che mi ha coinvolto profondamente. Perché mi ha portato a intuire quel momento estatico in cui si generano le idee, l'ispirazione, se vogliamo, e con essa la felicità.
Quando Dante incontrò Beatrice?
La vide per la prima volta bambino mentre giocava con Manetto, il primogenito di Folco Portinari. La liquidò subito come una mocciosa. Ma l'incontro che lasciò il segno fu nel Calendimaggio del 1274 quando la rivide fanciulla, già promessa, vestita di rosso con una cintura d'oro. Il suo occhio di poeta rifulse di quei bagliori.
Nel suo romanzo lei allude alla malattia di Dante: aveva l'epilessia?
Non è una mia invenzione: è un'ipotesi suffragata da molte ipotesi, anche dagli scritti del poeta. Le crisi paiono scatenarsi — e in effetti l'emotività sembra avere un ruolo nel provocare le crisi epilettiche — quando vede la donna amata. Fa quasi tenerezza il modo in cui lui cercava di combatterle. Dai suoi scritti, però, si sa che non la riteneva una possessione del demonio, secondo l'idea peregrina del suo tempo. Piuttosto, come già gli antichi, vedeva nell'epilessia quasi un segno del suo essere speciale, un marchio della predestinazione divina.
Lei racconta il saluto tra Dante e Beatrice, da cui l'innamoramento. Capitò proprio così?
Sì, uno scambio augurale ci fu, Dante lo canta ne La vita nova. Un fatto importante, perché a quell'epoca le donne, sposate e no, non rispondevano a un saluto così facilmente. Io ci aggiungo di mio che Beatrice pronunci timidamente il nome di lui: «Buongiorno, Dante». Un'ulteriore segno di stima e confidenza.
Lo scambio di saluti avviene nove anni dopo l'incontro del Calendimaggio. È da allora che Dante comincia a meditare sul numero nove e sul suo significato?
L'importanza del numero nove non me la sono proprio inventata io: Dante vi insiste ne La vita nova, arrivando a spiegare che il nove è Beatrice stessa. Tre per tre, tre volte la trinità. Comprende allora che, dato il loro legame costellato di segni, Beatrice gli è predestinata e comincia a pensare e costruire il suo futuro.
C'è un'altra donna cui lei rende omaggio, la moglie di Dante, Gemma Donati, di solito trascurata. Com'era?
Sembra la moglie silenziosa, analfabeta, che nella prima parte del romanzo viene effettivamente messa in ombra dalle opere gloriose dedicate a Beatrice. Appare gelosa mentre intima a Dante, che scrive sul tavolo della cucina, di sgombrare con le sue carte. Nella seconda parte del libro Gemma prende in mano, invece, le redini del destino del marito. Io ho voluto dotare il sommo poeta di una famiglia. Non è un'invenzione: ce l'aveva! Un rapporto affettivo non trascurabile, se due dei quattro figli diventano studiosi del padre. La femmina, Antonia, si monaca con il nome di suor Beatrice. E l'unico rapporto sessuale del romanzo l'ho voluto con Gemma: un atto d'amore coniugale, prima che il marito parta per l'esilio.
Come troviamo Dante alla fine del suo romanzo?
Qui sì che è un uomo solo! Tutti i suoi ideali politici sono falliti con l'imperatore Enrico VII e lui non può che aggrapparsi alla Commedia nella fredda Lunigiana dove attende, ma chissà se verrà, la famiglia. Sta scrivendo del Paradiso terrestre di Beatrice e torna con la poesia agli anni felici della giovinezza.

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