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«L'acqua del lago non è mai dolce» ottiene 99 voti

Premio Campiello, vince Giulia Caminito con la rabbia della giovane Gaia

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Walter Veltroni, Giulia Caminito ed Enrico Carraro al Premio Campiello 2021
Walter Veltroni, Giulia Caminito ed Enrico Carraro al Premio Campiello 2021
Premio Campiello 2021

VENEZIA - Ha scelto la parabola antiformativa di Gaia, ragazzina silente che risponde con un climax di aggressività al suo mancato riscatto sociale. La Giuria dei Trecento lettori anonimi si è legata alla ragazzina dalla vita in salita nella periferia di Roma, protagonista del romanzo di Giulia Caminito, «L’acqua del lago non è mai dolce», edito da Bompiani, vincitore del Premio Campiello 2021, assegnato ieri sera nell’atmosfera soffusa dell’antico arsenale di Venezia, davanti a 700 spettatori.

È la storia di una giovane ai margini con una madre forte e ingombrante sulla quale pesa l’onere di una famiglia numerosa e un marito disabile. «La rabbia di Gaia scaturisce dalle difficoltà di casa», spiega Caminito, «ma la rabbia pubblica, che porta all’indignazione per queste situazioni, che fine ha fatto?». È questa la domanda che suscita il romanzo impostosi con 99 voti sugli altri finalisti: Paolo Malaguti, «Se l’acqua ride» Einaudi (80); Paolo Nori, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij, Mondadori (37); Carmen Pellegrino, La felicità degli altri, La Nave di Teseo (36); Andrea Bajani, Il libro delle case, Feltrinelli (18); 270 i votanti su 300.

«Dopo due romanzi storici trascorsi tra archivi e documenti che per me sono luoghi di certezza», spiega l’autrice romana di 33 anni, «ho voluto gettarmi in un territorio più sconosciuto con un racconto di frustrazione di una famiglia in difficoltà tra la periferia di Roma e il lago di Bracciano. È la storia di un mancato riscatto di una ragazzina che non riesce ad accedere, non avendone i mezzi, alla società del consumo e del benessere. E risponde con una violenza sempre più immotivata. È una parabola antiformativa». La rabbia, tema affrontato da anni da Caminito, e l’eterno essere figli e non poter diventare adulti sono altri ambiti in cui indaga l’autrice.

 

Un compito arduo quest’anno per la Giuria dei Trecento alle prese con cinque romanzi che sanno arrivare a chi legge con penna immediata e coinvolgente e che impongono uno sforzo introspettivo, uno sguardo al passato nella ricerca dei confini del nostro essere, alle rovine esistenziali ma anche fisiche, ai mondi e ai luoghi in cui si è costruito il dna che ci portiamo addosso. Dalla parabola antiformativa di Caminito a quella decostruttiva-costruttiva di Pellegrino, dalle ferite della letteratura che sanguina ancora di Nori al mondo fluviale dei burchi messo da parte troppo in fretta dalla bulimia economica degli anni Sessanta di Malaguti fino a quello custodito dalle case di Bajano. È la società del consumo, sotto accusa, quella del non ascolto, del protagonismo individualista. E in questi spunti di riflessione gli autori gettano tessere per ricostruirci come società.

 

«È stato un anno fortunato per la letteratura italiana», spiega a margine il presidente della Giuria dei Letterati, Walter Veltroni. «Sono arrivati moltissimi lavori con spunti interessanti. Abbiamo valutato la capacità di suscitare emozioni. Sono cinque opere di cui siamo orgogliosi: la punta di rugiada tra qualità e leggibilità». E gli italiani sono andati alla scoperta di queste cinque storie guidati dall’originale conduzione di Andrea Delogu in tandem col musicista e attore Lodo Guenzi, e con l’accompagnamento musicale del trio Oltre swing. Una serata di emozioni, dalla commozione di Caminito nel ricevere la Vera da pozza (ai piedi, come Pellegrino, ha indossato scarpe rosse «per ricordare la possibilità delle donne di poter scrivere e leggere in ogni parte del mondo»); e poi il ricordo in una clip dello scrittore veneto Mario Rigoni Stern Campiello 1979.

 

Commosso, e non poteva essere altrimenti, l’applauso in piedi degli spettatori, quando sul palco il presidente della Fondazione Campiello e di Confindustria Veneto, Enrico Carraro, ha nominato Daniele Del Giudice, vincitore del premio alla carriera Fondazione Campiello. Ancora aperta la ferita per la sua morte avvenuta pochi giorni fa. «Una persona cara a tutta la nostra cultura. Gli dedichiamo la serata», le parole di Carraro. Ernesto Franco, direttore di Einaudi, ne ha ricordato l’amicizia: «Sentire, sarebbe una parola per definirlo. In lui non c’era sentimentalismo, ma un continuo viaggiare per descrivere un territorio che sa sentire il mondo contemporaneo». Il nome di Del Giudice, scrittore e giornalista, era stato sollecitato da Veltroni: «Un atto di gratitudine di una città cui lui ha dato molto».

 

La serata è passata anche per la consegna del premio Opera Prima assegnato a Daniela Gambaro per il suo «Dieci storie quasi vere» (Nutrimenti). Una scelta innovativa, quella del racconto, per un genere che da sempre, rispetto all’estero, fatica ad attecchire. Ma non demorde: «Il racconto fatica a trovare visibilità in Italia, ma vorrei continuare con questa forma letteraria». Prima di lei la più giovane sul palco, Alice Scalas Bianco, vincitrice del Campiello Giovani 2021. «È una serata speciale che chiude un percorso lungo con tanti ospiti e amici», ha esordito Carraro, per voce anche dei presidenti delle province venete di Confindustria, promotrice del premio nato nel 1962, «tra cui il ministro Federico D’Inca, il sottosegretario Benedetto Dalla Vedova e il sindaco Luigi Brugnaro. L’impresa riconosce il suo territorio e vi contribuisce in termini culturali non solo di crescita economica».

Maria Vittoria Adami

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