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Le Scarpette rosse amate dai registi

SCHERMI D’AMORE. Stasera anteprima del festival con il capolavoro di Powell & Pressburger. Scorsese, Coppola e De Palma sono tra gli autori che hanno riconosciuto il loro debito a questo film
Le scarpette rosse che danno titolo al film di Powell & Pressburger si rifanno a una delle favole di Andersen, rievocata nel celebre balletto
Le scarpette rosse che danno titolo al film di Powell & Pressburger si rifanno a una delle favole di Andersen, rievocata nel celebre balletto
Le scarpette rosse che danno titolo al film di Powell & Pressburger si rifanno a una delle favole di Andersen, rievocata nel celebre balletto
Le scarpette rosse che danno titolo al film di Powell & Pressburger si rifanno a una delle favole di Andersen, rievocata nel celebre balletto

Scarpette rosse è uno di quei film che non solo hanno fatto epoca, ma hanno lasciato una traccia negli autori cinematografici che ebbero occasione di vederlo quando erano bambini o poco più. Registi che non hanno mai nascosto il contributo che questo sfolgorante melodramma ebbe sulla loro formazione. Come Francis F. Coppola (in Tetro, la sua ultima pellicola, viene citato come uno dei film da vedere prima di morire). Come, anche se potrebbe sembrare impossibile, Brian De Palma, che ha sempre sostenuto di aver deciso di diventare regista dopo averlo visto da ragazzo. O come Martin Scorsese, che non solo divenne amico di uno dei due autori di Scarpette rosse, Michael Powell, che fu sempre prodigo di consigli e incoraggiamenti nei suoi confronti, ma l'anno scorso, ne presentò la versione restaurata (la stessa che si vedrà al Kappadue stasera alle 21) al Festival di Cannes.
«La mia generazione», disse in quella occasione, «persone come Spielberg e Coppola, hanno deciso di iniziare a fare film dopo aver visto Scarpette rosse. Per me è stata un'esperienza fondamentale».
E un'esperienza fondamentale sarà per quanti vorranno vedere in sala il film di Powell & Emeric Pressburger in edizione originale (con i sottotitoli) e con i colori restaurati: il bianco del tutù di Vicky Page (Moira Shearer), il rosso delle scarpette, il verde del mantello con cui la ballerina sale la scala che la porta alla perdizione, l'azzurro metallico degli occhi di Lermontov (Anton Walbrook), la sinfonia di colori del balletto che fece scuola anche a Hollywood, sia per la fluidità delle dissolvenze incrociate, sia proprio per la successione di cromatismi.
E poi c'è la storia. La vicenda di una giovane donna di nome Victoria, divisa tra l'amore per un uomo e l'amore per l'arte, che finisce sconfitta. In questo film c'è tutto il campionario del melodramma ai massimi livelli: passione, destino, dominio, tormento, emozioni espresse solo nei gesti. E morte. Per questo, chi andrà a vederlo, prepari i fazzoletti.

Giancarlo Beltrame

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