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«Io pessimista? Forse. Ma la crisi dà speranza»

FNAC. Il Cile (alias Lorenzo Cilembrini) al forum per il suo disco «Siamo morti a vent'anni». «Sono toscano come Monicelli, adoro le sue risate amare. E confido che questo periodo nero ci faccia capire che cosa vale veramente»
Il Cile nello showcase alla Fnac FOTO BRENZONI
Il Cile nello showcase alla Fnac FOTO BRENZONI
Il Cile nello showcase alla Fnac FOTO BRENZONI
Il Cile nello showcase alla Fnac FOTO BRENZONI

Con il suo primo singolo, Cemento armato, ha portato alla radio parole come «crepi per consumare e consumi crepando» e «ingoiare una polaroid di carta vetrata». Date il benvenuto a Il Cile (alias Lorenzo Cilembrini), cantautore rock aretino trentenne, già collaboratore dei Negrita, autore di un disco sorprendente come Siamo morti a vent'anni, presentato ieri pomeriggio alla Fnac con uno showcase elettroacustico. Il primo singolo, Cemento armato, è molto rappresentativo dell'album. «Ho cercato di giocarmi il jolly... No, scusate, questa metafora non si addice; meglio dire che è il mio biglietto da visita», spiega Il Cile. «L'avevo proposta anche a Sanremo ma me l'hanno bocciato. Poi però mi hanno telefonato per dirmi che s'erano pentiti...». In realtà il Cile non ha niente a che spartire con Sanremo e nemmeno con i talent-show. «Sì, il Festival della Canzone è un'incognita, una porta girevole: puoi entrare ma anche uscire, con un giro a vuoto. E non c'entro coi talent. Non ho niente contro di loro ma l'impressione è che chi esca da lì, non canti qualcosa che lo rappresenta umanamente al 100 per cento». I testi del Cile sono perfino troppo sinceri ma per pubblicare il suo album ha dovuto aspettare anni. «Ho vissuto momenti destabilizzanti. A darmi coraggio è stato Cemento armato. Adesso, sapere che sono arrivato al primo posto su iTunes, e poi al quinto delle classifiche generali... Per un esordiente come me è un grande risultato». In realtà, per essere il disco di un esordiente, Siamo morti a vent'anni è molto «scafato»... «Bene o male sono nel mondo della musica professionale dal 2003, da quando vinsi il Festival di San Marino con la mia band», spiega Lorenzo. «Da lì, una serie di vicende personali che mi hanno portato a sperimentare da solo: il mio disco ha avuto una gestazione di quattro anni. È ovvio, insomma, che suoni così, grazie anche al produttore Fabrizio Barbacci». Ma se il futuro de Il Cile sembra ben avviato, perché le canzoni sono così pessimiste? Dov'è la speranza? «Lo ammetto: a partire dal titolo, c'è un velo scuro. Ma sono toscano, e adoro il regista Mario Monicelli con le sue risate amare. Il disco riassume i miei anni turbolenti e difficili, quelli che hanno preceduto i trenta. Ho lottato per capire quale fosse la mia direzione; se i sogni fossero raggiungibili, se scendere o no a compromessi. Ho portato avanti tanti lavori precari per scelta: avevo il terrore di trovarmi al bivio, di dover scegliere tra la musica e qualcos'altro. E quest'atmosfera si respira, nelle canzoni. Ma ho una grande speranza: la crisi servirà a ripartire, a capire cosa ci serve veramente». G.BR.

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