Si è conclusa con la speciale visita dell’ambasciatore del Cile in Italia, Ennio Vivaldi, la mostra a Villa Venier delle opere del muralista cileno Mono Carrasco, che vive e lavora in Italia dal 1974, anno in cui è arrivato dal suo Paese come rifugiato politico, dopo l’avvento della dittatura di Augusto Pinochet.
Vivaldi, ex rettore della Universidad de Chile, era a quel tempo uno studente di medicina, così l’incontro a Sommacampagna è stato per lui anche l’occasione di ricordare l’anniversario del golpe che pose fine al governo democratico di Salvador Allende, l’11 settembre 1973, oltre che per rendere omaggio a un altro testimone degli eventi che aprirono una stagione estremamente difficile per il Sudamerica, il pittore Carrasco, appunto, che ha fatto della sua arte un costante richiamo ai valori della pace e alla solidarietà contro ogni oppressione.
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«Se c’è un aggettivo che nessuno proporrebbe per qualsiasi colpo di Stato, in qualsiasi parte del mondo, è che esso sia auspicabile. Ed è questo l’anelito condiviso che ci deve chiamare in causa oggi», ha detto l’ambasciatore al pubblico di Villa Venier, dove si è recato accompagnato dal sindaco di Sommacampagna, Fabrizio Bertolaso, sottolineando l’importanza di difendere le conquiste democratiche sempre, anche quando non sono in molti a vederle in pericolo. Nel suo intervento, Vivaldi ha evidenziato «l’aiuto solidale e umanitario prestato dall’Italia sin dai primi momenti», ricordando quando, nei giorni successivi al colpo di stato, l’ambasciata italiana nella capitale Santiago divenne un luogo sicuro per tanti cileni in cerca di rifugio per sfuggire alla violenza della dittatura.
«Di tutti i ricordi che non cesseranno mai di commuovermi, inizio da questo», ha detto. Lui stesso, fra l’altro, ha radice italiane: i suoi nonni erano originari di Taggia, in Liguria. La sua riflessione sull’impatto del golpe sul futuro della società cilena è stata scandita da aneddoti e ricordi personali. «A cinquant’anni dalla morte di Allende, come giovane di allora, ricordo i suoi discorsi, tra cui uno nell’aula magna della facoltà di Medicina in cui si riunì con gli studenti», ha raccontato, commosso. «Ci chiedeva di non esitare a iniziare la nostra carriera portando “una carriola di sole” negli angoli più lontani e trascurati del Paese. Questa la metafora che usò».