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Il 25 marzo è il «Dantedì»

Dante, oggi (723 anni fa) l'inizio del viaggio nell'aldilà: «La sua lingua ormai è coscienza collettiva»

Oggi è la data in cui, secondo gli studiosi, il Sommo Poeta iniziò il viaggio raccontato nella Divina Commedia
Dante Alighieri in un ritratto di Sandro Botticelli
Dante Alighieri in un ritratto di Sandro Botticelli
Dante Alighieri in un ritratto di Sandro Botticelli
Dante Alighieri in un ritratto di Sandro Botticelli

Oggi, 25 marzo è il Dantedì la giornata nazionale istituita dal ministero della Cultura in memoria del poeta Dante Alighieri. Secondo gli studiosi, sarebbe la data d'inizio del viaggio nell'aldilà della Divina Commedia. Il primo canto dell'Inferno infatti dovrebbe collocarsi nella notte tra giovedì 24 e venerdì 25 marzo del 1300, anno in cui Dante Alighieri aveva 35 anni. A ricordare questa giornata Maria Teresa Bompani, dell’associazione vicentina “Dante Alighieri” che ci ricorda quanto il linguaggio del Sommo Poeta sia ancora attuale. 

Il 25 marzo è un giorno particolare, il Dantedì, dedicato a Dante Alighieri. In questa ricorrenza vorrei parlare del nostro poeta affrontando molto sinteticamente un argomento, forse un po’ trascurato. In un suo intervento di qualche tempo fa, Luca Serianni disse: “La Divina Commedia non è soltanto un esempio insuperato di creazione poetica, ma anche un serbatoio linguistico che nel tempo ha riccamente alimentato il vocabolario dell’italiano”. Non solo: ma un altro grande critico, Tullio De Mauro, affermò che molte espressioni della Divina Commedia “sono entrate nella coscienza collettiva”, sono diventate modi di dire ormai radicati nell’uso corrente della nostra lingua. 

Il tema

Ecco, vorrei ci soffermassimo su questo tema. Quando ci troviamo di fronte a difficoltà che riteniamo di non poter superare, diciamo che la situazione ci “fa tremar le vene e i polsi”, come sostiene Dante di fronte alla lupa famelica (Inferno, c. I, v. 91); e quando veniamo presi dallo scoraggiamento, non possiamo dimenticare il verso (Inferno, c. III, v. 10): “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”, frase che molto spesso veniva scritta a lettere cubitali sulle porte delle aule del liceo, in cui gli insegnanti cercavano di condurre gli allievi “dentro a le segrete cose” (Inferno, c. III, v. 21) della cultura, ottenendo risultati spesso “senza infamia e senza lodo” (Inferno, c. III, v. 36) e cercando di incoraggiare “color che son sospesi” (Inferno, c. II, v. 52) con le celebri parole: “Qui si porrà la tua nobilitate” (Inferno, c. II, v. 9) ossia qui potrai provare le tue capacità.

Altri versi

Ma lasciamo da parte “le dolenti note” (Inferno, c. V, v. 25) scolastiche e addentriamoci in altri versi che traducono mirabilmente sentimenti e concetti con pochissime parole. Il disprezzo di fronte agli ignavi dell’anti-inferno, che furono particolarmente inerti, indifferenti e non vollero perseguire alcuno scopo né prendere mai alcuna decisione in vita, è espresso da Virgilio con l’espressione “Non ragioniamo di lor, ma guarda e passa” (Inferno, c. III, v. 51). Gli uomini infatti devono affrontare le difficoltà, secondo Dante, con coraggio e determinazione: se non hanno perduto “il ben dell’intelletto” (Inferno, c. III, v. 18), possono recepire, anche se “vecchi e tardi”, le parole di Ulisse: “Fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e conoscenza” (Inferno, c. XXVI, vv. 119-120). Certo devono cercare di difendere sé e gli altri “a viso aperto” (Inferno, c. X, v. 93) e di adattarsi a stare con la gente che incontrano “…ne la chiesa / coi santi, ed in taverna co’ ghiottoni” (Inferno, XXII, vv. 14-15) adeguandosi, per arte e sensibilità, a persone così diverse. L’importante è stare “…come torre ferma, che non crolla / già mai la cima per soffiar de’ venti” (Purgatorio, c. V, vv. 14-15), cioè non lasciarsi distrarre dai discorsi delle genti (“lascia dir le genti”, Purgatorio, c. V, v. 13) che possono rallentare il cammino verso l’altezza della meta. 

L'amore

L’amore, sentimento fondamentale nell’uomo, “Amor sementa in voi d’ogne virtute” (Purgatorio, c. XVII, vv. 103-105), è declinato nella Divina Commedia in tutti i suoi vari 1 aspetti: l’idealizzazione stilnovistica di questa emozione che viene coniugata da Francesca da Rimini con delicatezza, sensibilità, finezza (“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende” Inferno, c. V, v. 100) diventa poi passione fatale di una drammatica potenza quando la donna ricorda, con un lampo di femminile rimpianto, “…la bella persona / che mi fu tolta” (Inferno, c. V, vv. 101-102). 
C’è poi l’amore lussurioso di Sardanapalo, re assiro, che mostra “ciò che ’n camera si puote” (Paradiso, c. XV, v. 108), cioè fino a che punto possano giungere, nell’intimo della vita domestica, le raffinatezze di una fastosità molle e corrotta. Questo sentimento assume un senso tutto intellettuale nella canzone “Amor che ne la mente mi ragiona” (Purgatorio, c. II, v. 112), riferendosi alla filosofia, e torna poi a colpire il poeta che, vedendo una donna che scende dall’alto velata, “vestita di color di fiamma viva” (Purgatorio, c. XXX, v. 33), proclama: “Conosco i segni dell’antica fiamma” (Purgatorio, c. XXX, v. 48): Beatrice diventerà guida e simbolo della teologia nel Paradiso ma verrà sempre vista affettuosamente dal poeta come “…il sol de li occhi miei” (Paradiso, c. XXX, v. 75). 

La generosità

Accanto all’amore, c’è anche la generosità, la disponibilità di chi vede le esigenze dei meno fortunati e cerca di aiutarli spontaneamente, senza farsi pregare: “Del fare e del chieder, tra voi due, / già primo quel che, tra li altri, è più tardo” (Paradiso, c. XVII, v. 73). Quando poi Dante parla di forza morale, troviamo immagini potenti che sono diventate proverbiali. Pensate alle parole che Cacciaguida, trisavolo di Dante, dall’alto del cielo di Marte, rivolge al poeta, profetizzatogli le pene dell’esilio: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui e come è duro calle / lo scendere e il salir per l’altrui scale” (Paradiso, c. XVII, vv. 55-57); poi, quando Dante gli chiede se dovrà riportare in terra quanto ha sentito in cielo, risponde che deve manifestare integralmente la sua visione anche se ciò potrebbe provocare malcontenti e avere per lui conseguenze negative: e sottolinea il concetto con una rozza ma significativa espressione plebea: “e lascia pur grattar dov’è la rogna” (Paradiso, c. XVII, v. 129). A questo punto Dante ha già affermato che si sente “ben tetragono ai colpi di ventura” (Paradiso, c. XVII, v. 25) e che quindi è ben lontano dalla penna che si muove “ad ogne vento”, cioè da ogni sconsiderata leggerezza umana. 

Le altre emozioni nella poesia di Dante

“I detti” di Dante non si esauriscono certo in questi: vorrei solo ricordare la bella definizione che dà dell’Italia, “il bel paese là dove ‘e sì suona” (Inferno, c. XXXIII, v. 80), identificando la penisola come il luogo dove suona la lingua contraddistinta dalla sua particella affermativa, il sì; e poi il possente motivo che si sviluppa dalla considerazione dell’umana superbia che ricerca una gloria che dura molto poco: “Oh vana gloria de l’umane posse” (Purgatorio, c. XI, v. 91) e poi “Non è il mondan romore altro ch’un fiato / di vento…” (Purgatorio, c. XI, vv. 100-101): l’essenza della fama in un uomo è effimera e destinata ad essere superata da altri nel breve volgere degli anni

Maria Teresa Bompani

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