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C’È UN’ALTRA LETTERATURA

Giuseppe Russo direttore della Casa editrice Neri Pozza, che appartiene al gruppo Athesis, ed Emanuele Trevi, autore di “Due vite”- entrato da poco più di una settimana nella dozzina del premio Strega- è andato oltre ai canoni dell’intervista. No, quello di ieri pomeriggio è stato un incontro di critica letteraria. Uno sorta di excursus interessante, forbito, al quale l’editore e lo scrittore hanno saputo inserirsi in maniera intelligente affrontando il tema della contemporaneità della letteratura, dell’autobiografia e della fiction. RUSSO. Il valore letterario di un’opera è destinato ai posteri perché la verità storica di quest’ultima muta a seconda delle epoche. Pensiamo a Caravaggio a lungo trascurato nel mondo dell’arte. Oppure a Roman Gary, edito da Neri Pozza, per il quale c’è voluto mezzo secolo perché fosse consacrato per il grande scrittore che era. Ma tutto questo non è sempre vero, esistono casi in cui nel presente si può affermare che un’opera esprime una contemporaneità e può rappresentare questo canone. Credo fermamente, ma non solo io, visto che Trevi ha scritto anche per altre case editrici, che rispetti i valori letterari contemporanei. Vorrei portare la discussione su questo tema facendo un esempio: quando Fisher Verlag editore di Thomas Mann lesse i suoi primi libri si rese conto che erano intrisi di verità storica. I giudizi sull’opera di Trevi parlano di questo. Lo sostengono Sandra Petrignani, Roberto Cotroneo, Domenico Starnone. In sostanza tutti concordano nel sostenere che il libro cancella la linea di demarcazione tra la resa del reale e quella dell’immaginario e, dunque, parlano di personaggi reali e veri. Ma la letteratura l’ha sempre fatto, pensiamo ai sonetti di Shakespeare oppure a alla Commedia di Dante. Ma sembra che i personaggi di Trevi mettano in evidenza una discussione sulla della letteratura differente. Perchè accade oggi, siamo davanti ad una nuova frontiera della letteratura? TREVI. Questo genere letterario potrebbe subito evocare un’obiezione, ci sono sempre stati autori che hanno scritto dei fatti loro. Forse la tradizione letteraria europea inizia in senso moderno, senza riferirsi sempre all’eredità latina o greca, con le Confessioni di Sant’Agostino. Ma vorrei fare una provocazione sostenendo che questo genere, già praticato dagli scrittori contemporanei, ha degli archetipi molto più vicini ai nostri. Sono d’accordo con chi sostiene che Paul Auster con “L’invenzione della solitudine” che è un libro tradotto in Italia nel 1982 fonda questo genere di prosa come lo pratichiamo noi. Metteva se stesso al centro della narrazione con nome e cognome e racconta un divorzio, un periodo difficile, la convivenza con il figlio, il ritratto del padre con riferimenti letterari sorprendenti. Costruiva qualcosa di nuovo: da una parte l’autobiografia e dall’altra la fiction. Mentre la prima ha esempi meravigliosi come “Le memorie d’oltretomba” di Chateaubriand che si lega al susseguirsi della vita. In questo tipo di narrazioni autobiografiche l’evento della fiction è fondamentale. Mentre in un’autobiografia non si dilatano o comprimono i tempi del racconto. Personalmente mi attribuisco il 95 per cento di verità di cose accadute durante la mia esistenza perché sono dotato di poca immaginazione, non riuscirei a scrivere la saga di Harry Potter o il Signore degli anelli. Li ammiro, ma non li so imitare. La scrittura deve dare emozioni a chi la legge. Ecco come si spiega questa formula di auto fiction, come dicono gli anglosassoni, e lo sosteneva bene Proust all’inizio della “Recherche” quando sostiene che il cuore umano cambia, ma non lo percepiamo nella vita reale. RUSSO. “Due vite” è un’opera che tratta il destino vero reale e concreto di due scrittori da cui è stato legato da una grande amicizia. Rocco Carbone è una figura straordinaria ha un’ossessione per la semiotica, vorrebbe controllare il mondo con un codice, se ci pensiamo viviamo tutti in una bolla semiotica. Rocco era tentato dalla via del controllo ed era mosso da furori interiori. Pia Pera è il suo opposto, trovo che nell’ultima fase della sua esistenza con la sua passione per il giardinaggio abbia posto nel libro una questione fondamentale: se c’è salvezza non è nell’aggrapparsi nell’identità dell’io, ma nella cura del proprio tempo, fare in modo che quest’ultimo non venga gestito da altri. TREVI. Sono contento di questa lettura perchè nel libro emerge una fondamentale necessità di autonomia. Pia dice voglio vivere all’aria aperta. Lei voleva riappropriarsi del tempo, non più quello scandito dalla modanità, ma quello che diventa stagione, esperienza più soggettiva e meno globalizzata di quella che abbiamo noi. La bellezza dell’autonomia consiste nello staccarsi dai tempi collettivi. •

Chiara Roverotto

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