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Buchenwald, i disegni che narrano l’orrore

di Gian Paolo Marchi
Prigionieri del campo di Buchenwald mentre costruiscono la linea ferroviaria Weimar-BuchenwaldLa copertina del libro
Prigionieri del campo di Buchenwald mentre costruiscono la linea ferroviaria Weimar-BuchenwaldLa copertina del libro
Prigionieri del campo di Buchenwald mentre costruiscono la linea ferroviaria Weimar-BuchenwaldLa copertina del libro
Prigionieri del campo di Buchenwald mentre costruiscono la linea ferroviaria Weimar-BuchenwaldLa copertina del libro

Quella quercia che si trovava sulla collina di Ettesberg, riserva di caccia dei duchi di Weimar, aveva ispirato anche i versi di Goethe. Ed è proprio l’immagine spettrale di quella quercia che oggi campeggia sulla copertina e sul frontespizio del volume «Buchenwald 1943-1945», pubblicato dalla Cierre edizioni, che sarà presentato sabato alle 17,30 alla Società Letteraria. Partecipano Maurizio Zangarini storico, Università di Verona, Giovanni B. Novello Paglianti, antropologo, Università di Padova, Arnaldo Loner avvocato penalista, Bolzano Gilberto Salmoni, ex deportato a Buchenwald, rappresentante italiano nel Comitato internazionale di Buchenwald.

Le querce vennero abbattute nel corso dei lavori di costruzione del campo di concentramento eretto dai nazisti nel 1937 in una faggeta, denominata appunto Buchenwald. Fu risparmiata solo una quercia, che venne a trovarsi tra la cucina e la lavanderia del campo. La maestosa pianta fu gravemente danneggiata il 24 agosto 1944, nel corso di un’incursione aerea degli alleati che colpì anche la villetta annessa al campo in cui era tenuta in ostaggio Mafalda di Savoia, che morì quattro giorni dopo in seguito alle ferite riportate. Dalla quercia venne ricavata legna da ardere. Un prigioniero politico, Bruno Apitz, riuscì a sottrarne un pezzo, nel quale scolpì la maschera funeraria di una vittima, che intitolò «L’ultimo volto».

«Buchenwald 1943-1945» comprende 78 disegni dovuti a due prigionieri politici francesi, Auguste Favier e Pierre Mania, “ospiti” di Buchenwald nel medesimo Block 34. Si tratta di uno straordinario documento delle miserie e degli orrori che segnavano la vita quotidiana del lager, scene non meno eloquenti delle descrizioni affidate alla parola: il viaggio nei sordidi vagoni merci, l’arrivo al campo, la brutale accoglienza, la rasatura, la disinfezione, le punizioni atroci, la passeggiata in un viale del campo dei malati, stremati dall’inedia, le latrine svuotate con bidoni destinati a concimare l’orto delle SS, l’efferato sadismo dei kapò, il lavoro nella cava di pietra e l’infernale strazio dei carrelli da spingere, il concerto domenicale, in cui spesso i prigionieri, stroncati dalla fatica, cedevano al sonno.

L’edizione delle tavole è accompagnata da un documentato saggio sulla storia di Buchenwald dovuto a Maurizio Zangarini, che fornisce tra l’altro un prospetto cronologico della nascita dei più noti lager nazisti, destinati originariamente ad accogliere gli oppositori politici che potevano essere arrestati con un semplice provvedimento di polizia. Il primo campo fu aperto nel marzo 1933 a Dachau, pittoresca località presso Monaco; seguirono Esterwegen, Sachsenhausen e, nel luglio 1937, Buchenwald. Tutto era pensato per offrire all’Europa e al mondo un’immagine positiva del trattamento che la Germania nazista riservava agli oppositori, chiamati a prendere coscienza del loro traviamento politico mediante la riflessione e il lavoro manuale: «Jedem das Seine» (a ciascuno il suo), ammoniva l’iscrizione sull’ingresso principale di Buchenwald. Frequenti, certamente, furono gli episodi di violenza brutale (nel 1939, il pastore protestante Paul Schneider fu massacrato dalle SS mentre dietro le sbarre gridava: «Fratelli, siate forti, Cristo è risorto!»).

Ma i nazisti cercavano di accreditare l’impressione di una certa normalità: così, alla fine del 1938, le SS promisero un premio di 10 marchi a chi avesse composto l’inno del campo. Fu scelto il lavoro di un kapò, che aveva in realtà presentato il lavoro di due prigionieri d’eccezione: la musica era di Hermann Leopoldi, applaudito cabarettista viennese, mentre il testo era di Fritz Löhner-Beda, notissimo librettista, che nel 1929 aveva scritto per Lehar «Il paese del sorriso» («Das Land des Lächelns»), che comprende la celebre romanza «Dein ist mein ganzes Herz» («Tu, che m’hai preso il cuor»). Leopoldi, liberato dal campo, poté emigrare negli Stati Uniti, e stabilirsi poi a Vienna, dove morì nel 1959; Löhner-Beda, ebreo, trasferito ad Auschwitz nel 1942, fu ucciso a Buna mentre lavorava alla IG Farben.

Occorre in ogni caso ribadire che anche a Buchenwald, specialmente dopo lo scoppio del conflitto mondiale, l’assassinio di massa fu largamente praticato, anche nei confronti di prigionieri di guerra. A decine di migliaia di vittime è stato possibile dare un nome; di tante altre, annientate nei crematori o trucidate durante i trasferimenti negli ultimi giorni del conflitto, rimangono solo le miserande figure evocate dai disegni di Favier e Mania, oggetto di acuta, stringente analisi nel saggio di Giovanni Battista Novello Paglianti intitolato «Disegnare Buchenwald»: «lo sguardo dei protagonisti dei riquadri non s’incrocia quasi mai con quello degli altri personaggi… I corpi sono disegnati con tratti contorti e con caratteristiche espressive che sottolineano la loro evanescenza fisica, al punto di ridurli quasi a dei fantasmi di fantasmi». Nudi numeri: da vivi e da morti.

Le truppe americane che arrivarono l’11 aprile 1945 a Buchenwald vi trovarono 21.000 prigionieri, scampati agli ultimi eccidi. Sconvolto dal triste spettacolo, il comandante americano costrinse i cittadini di Weimar a guardare con i propri occhi quello che per tanti anni non avevano voluto vedere.

Ernst Wiechert, nel diario («Der Totenwald») dei due mesi passati a Buchenwald nel 1938, ricorda che solo pochi passi separavano la sua baracca dalla quercia, «la cui ombra si diceva fosse piaciuta a Goethe e a Charlotte von Stein». Come se fosse stato l’ultimo uomo della terra, si ripeteva i versi di «Göttliches», in cui Goethe aveva espresso il suo ideale di umanità: «sia l’uomo consapevole della sua dignità, pronto a soccorrere e buono». Niente sarebbe andato perduto se un solo uomo avesse cercato di conservare questo messaggio fino alla sua ultima ora.

Edito da Cierre, «Buchenwald 1943-1945» si distingue per la cura grafica con cui sono riprodotti i disegni di Favier e Mania. Il volume è presentato da Dario Venegoni, presidente nazionale dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti («La matita come un’arma per continuare a resistere»), che ricorda il caso dei disegni relativi ad Auschwitz siglati “MM”, il cui autore, «ucciso come altre centinaia di migliaia di vittime», non è mai stato identificato. Nella sua nota «L’albero di Goethe», Arnaldo Loner, bibliofilo e cultore di memorie storiche relative al sistema concentrazionario nazista, rievoca le modalità con cui è riuscito ad assicurarsi in un’asta pubblica un esemplare dell’edizione originale dei disegni di Favier e Maniat, richiamando la sua attività di ricerca intorno al campo di concentramento di Bolzano, e in particolare il suo impegno nell’ambito del processo contro il criminale Michael Seifert, estradato dal Canada nel 2008, condannato all’ergastolo dal Tribunale militare di Verona e deceduto nel 2010 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. La testimonianza di Wiechert con scritti di altri autori è compresa in «Stimmen aus Buchenwald», Göttingen, Wallstein Verlag, 2006.

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