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Antonio Scurati

Antonio Scurati scrittore, giornalista e docente, nato a Napoli nel 1969, cresciuto a Venezia, vive a Milano
Antonio Scurati scrittore, giornalista e docente, nato a Napoli nel 1969, cresciuto a Venezia, vive a Milano
Antonio Scurati scrittore, giornalista e docente, nato a Napoli nel 1969, cresciuto a Venezia, vive a Milano
Antonio Scurati scrittore, giornalista e docente, nato a Napoli nel 1969, cresciuto a Venezia, vive a Milano

Antonio Scurati, nato a Napoli nel 1969 ma cresciuto a Venezia e ora residente a Milan, al secondo libro della tetralogia su Mussolini, dopo che con il primo ha vinto nel 2019 il premio Strega, rappresenta il caso editoriale degli ultimi anni. È in Veneto per presentare la sua ultima opera. Dopo M1, l’uomo del secolo, ora M2 è l’uomo della provvidenza. Un sottotitolo quasi obbligato: trattando del periodo dal 1925 al 1932, uno degli eventi più importanti è la firma dei Patti Lateranensi, che valse a Mussolini l’imprimatur di Pio XI, anche se poi i rapporti con il papato furono comunque turbolenti. Se il primo libro narrava la rivoluzione, l’imporsi, questo ricostruisce la politica, il consolidamento della dittatura personale. Il duce assurge a una dimensione semidivina, per il regime ma anche nella percezione degli italiani. Un vizio in cui non abbiamo mai smesso di cadere. Quello del fascismo è un dominio fisico, vigoroso e orribile al tempo stesso. Non a caso il libro inizia con la descrizione di Mussolini in preda a problemi intestinali. Era affetto da una sindrome duodenale che fece temere per la sua vita, circostanza poco approfondita dagli storici. Mussolini ebbe per primo l’intuizione dell’uso del corpo per le masse, della sua centralità nell’esercizio del potere. I leader populisti di oggi gli devono molto. Ma attenzione, quello stesso corpo che viene adorato sarà poi massacrato. Questo incipit plastico sembra anche somatizzare le conseguenze dell’assassinio di Matteotti, con cui si era chiuso il primo volume. C’è una parte segreta, malata, del potere fascista, il tenebroso decadimento che si vedrà alla fine del regime ma che esso portava con sé fin dall’inizio. In parallelo avviene in quegli anni lo svuotamento dello Stato e della democrazia. I suoi rappresentanti vengono ritratti come pallidi, impalpabili, rinunciatari. E’ anche un giudizio politico? Credo che la tesi defeliciana del consenso al regime andasse esplorata ulteriormente, a patto di capire che la conquista totalitaria corrisponde a un vuoto. Mussolini diventa anche consapevole del fallimento della sua idea di creare una vera classe dirigente fascista e per questo, dopo la democrazia, svuota anche il partito e si isola. Un altro filone importante è quello delle conquiste coloniali. Le campagne africane furono veri e propri genocidi. E’ una macchia notevole nella nostra storia ma tendiamo a dimenticarla perché ci fa comodo cullarci nel vittimismo del “siamo stati anche noi migranti”. Se ricordassimo che siamo stati anche invasori e sterminatori arriveremmo a un rapporto più maturo con i fenomeni mondiali di oggi. Il suo è un “romanzo documentale”, una sfida nuova soprattutto intorno a un personaggio che continua a condizionare la memoria dell’Italia. Quante fonti ha consultato? E che rapporto ha con gli storici? Decine di archivi, centinaia di studi, migliaia di documenti. E’ stata un’emozione immergersi nelle lettere di Augusto Turati, segretario demolito dalle congiure, struggenti, scritte con elegante calligrafia. Quanto al rapporto con gli storici, a parte qualche incidente iniziale dovuto forse a un loro spirito di difesa del territorio, si è sviluppato in modo proficuo. Da una serie di dialoghi all’università di Padova con il gruppo di lavoro della professoressa Carlotta Sorba nascerà presto un libro. Com’è accolta la sua opera all’estero? M1 è uscito in questi giorni in Gran Bretagna mentre è già stato pubblicato in Olanda, Francia, Spagna e Germania. Mi ha sorpreso il successo in quest’ultimo Paese, dove ha dovuto superare preconcetti: i tedeschi pensano che gli italiani non abbiano mai fatto i conti fino in fondo con il fascismo come invece loro con il nazismo. I paragoni con il presente affiorano automaticamente a ogni pagina. Ma lei ha sempre detto di non aver voluto scrivere un libro ideologico. Io sono cresciuto nella cultura antifascista, nel mito resistenziale. Ho sempre desiderato fare un libro sui partigiani e l’ho fatto, mi mancava il lato oscuro. L’arte è sempre non ideologica, non accetta filtri di opacità. Ma raggiunge una verità e una giustizia poetica che non fanno sconti a nessuno e alla fine il lettore si rafforza nei sentimenti democratici. Ho riscontrato con piacere migliaia di reazioni così. Io sono poco social e magari qualcuno lì mi darà del fascista, ma mi pare che il dibattito intorno a questi libri sia sempre sostanzialmente equilibrato. All’inizio aveva in mente una trilogia, ora ha esteso il progetto a quattro libri. Il prossimo sarà l’uomo del...? Non ho ancora pensato al sottotitolo. Ma ho chiara la prima scena: l’entrata nella storia di Hitler.•.

Alessandro Comin

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