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Violenza, arrestato e poi assolto per le avances a una minore

Un’aula di giustizia in un tribunale
Un’aula di giustizia in un tribunale
Un’aula di giustizia in un tribunale
Un’aula di giustizia in un tribunale

Il tunisino B.A.M. ha trascorso un anno e mezzo della sua vita con l’accusa di violenza sessuale su minore come una spada di Damocle sulla sua testa. Sono stati necessari due gradi di giudizio per stabilire che l’oggi cinquantenne uscisse da quell’incubo con l’assoluzione della Corte di appello di Brescia «perché il fatto non costituisce reato». Nel frattempo, il migrante ha subito l’onta prima della denuncia poi dell’arresto, la detenzione in carcere, gli arresti domiciliari la condanna a tre anni di carcere in primo grado e, infine, l’assoluzione. Il motivo? Gli approcci a sfondo sessuale alla quindicenne, avvenuti tra il Villafranchese e il Mantovano, ci sono stati ma B.A.M. era convinto che la giovanissima li gradisse, come scrivono in sintesi i giudici di secondo grado nella motivazione della sentenza. Alla fine di questo percorso giudiziario, il tunisino, difeso da Silvia Ebbi, è intenzionato a chiedere i danni allo Stato con la richiesta di risarcimento per l’ingiusta detenzione. La vicenda Sono le 17 dell’undici marzo 2021 quando l’allora quindicenne, residente nel Villafranchese, invia un whatsapp a B.A.M., chiedendogli di accompagnarla a prendere le sigarette. La giovanissima conosce bene il tunisino. È un amico di famiglia, va spesso a casa sua per incontrare i genitori. «Il migrante aveva sempre aiutato Maria (nome di fantasia ndr) e tutta la sua famiglia: li aveva accolti più volte nella sua casa oltre ad aver fatto spesso dei lavori nella loro abitazione», riporta la motivazione della sentenza della corte d’appello di Brescia, presieduto da Silvia Milesi. E non è finita qui: «La persona offesa dichiarava più volte di andare spesso a casa del migrante per giocare con il figlio». Cosa successe in quel pomeriggio di fine inverno di due anni fa, cambia scenario a seconda di chi la racconta tra i due protagonisti. Alla fine, conta, però, solo quella dei giudici della corte d’appello di Brescia. «La ragazza», riporta la sentenza, «non ha fatto obiezioni a salire con lui in auto». E ancora: «La stessa Maria, (costituitasi parte civile con Giovanni Chincarini) ha riferito di aver accettato una passeggiata tanto che all’invito del migrante era scesa e si era incamminata a fianco del suo accompagnatore». Tanto basta, quindi, per i giudici di secondo grado per dire che tra i due si era creato «un contesto d’intimità» con «un atteggiamento accondiscendente della giovane» che potevano aver creato in B.A.M. «l’aspettativa che le sue malsane intenzioni verso la giovane fossero ricambiate». Da qui, la convinzione che il tunisino avesse agito in buona fede: «Ne consegue, quindi, che le carezze sui capelli lunghi, lo sfioramento del seno, il tentativo di darle un bacio in bocca e sul collo sono stati posti nella ragionevole convinzione che la ragazza fosse in qualche modo consenziente». In realtà, di fronte al tentativo di baciare la stessa ragazza si era ritratta ma, sostengono i giudici, «non appare inverosimile che il B.A.M. possa aver interpretato il rifiuto di essere baciata come espressione di un atteggiamento di pudore dovuta all’immaturità della giovane piuttosto che al rifiuto delle sue avance». Anche perché gli approcci del tunisino sono continuati anche nel viaggio verso casa «L’uomo», riporta la motivazione della sentenza, «ha continuato a tenere la mano della ragazza con la scusa di farle cambiare le marce e l’ha accarezzata sulla coscia in un contesto di intimità che non sembra consentire una chiara percezione del dissenso della ragazza». Tanto più, si conclude la sentenza, «mai Maria si era sottratta a questi approcci e a esplicita richiesta di B. A. M. sul loro gradimento, aveva risposto in modo affermativo». Un insieme di circostanze, quindi, che hanno indotto i giudici a respingere le richieste di condanna della procuratore oltre che cancellare la sentenza di primo grado .•.G.Ch.

Giampaolo Chavan

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