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La psicologa l’ha studiata «Lì pedofili in agguato»

L’alternativa per le aule più spaziose: banchi singoli da 60 centimetri
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Il ritratto fatto dalla psicologa e responsabile del punto ascolto dell’ufficio scolastico di Verona, Giuliana Guadagnini, sull’applicazione finita sotto i riflettori a Castel d’Azzano è piuttosto inquietante. La psicologa spiega di aver condotto uno studio su Omegle nel 2017 e già allora aveva messo in guardia sull’utilizzo, soprattutto da parte di giovanissimi, della chat anonima. I pericoli, secondo Guadagnini, sono nascosti in particolar modo nella facilità di accesso. Oltre al rischio di essere invitati a incontri dal vivo. La possibilità di scrivere a chiunque, ed essere contatti giorno e notte, ne rende ancora più difficile il controllo. «I genitori», spiega la responsabile provinciale, «devono sapere quali sono le applicazioni che vanno di più. Devono conoscere quali app usano i figli». C’è un rischio, dice ancora l’esperta, di «sessualità senza intimità» e l’incognita di essere ripresi, e quindi registrati, a scopo ricattatorio e pedopornografico è reale. L’intuitività dell’app rende tutto molto più veloce. Quando si sceglie di scaricarla sul proprio telefonino viene specificato che è adatta a un’età superiore ai 17 anni, ma c’è nessun controllo specifico ulteriore. Guadagnini ha condotto delle prove proprio sul suo utilizzo. Da qui è emerso che su 100 chat attivate in meno di due minuti sono arrivate queste richieste: 37 erano a sfondo sessuale, 31 scambio di dati personali, 15 richieste di scambi di foto, 9 ricerca di compagnia e 8 richieste di chat spinte. A rendere il quadro ancora più inquietante le segnalazioni di utilizzo dell’applicazione da parte di bambini di 7, 8 anni. Anche se l’età maggiormente sotto tiro è quelle delle scuole secondarie di primo grado. «La conversazione tipica», spiega ancora Guadagnini, «viene “sessualizzata” nell’arco di soli due minuti. Se gli inviti vengono ignorati o rifiutati semplicemente ci si sposta alla ricerca di nuove “prede”». Gli adescatori, come sottolinea la sessuologa, instaurano inizialmente relazioni che solo in apparenza sembrano d’amicizia. Queste, però, si spostano in poco tempo in richieste d’incontri oppure di confidenze sessuali. Ma non serve l’incontro fisico perché si possa parlare di reato: «Non è necessario che due persone si vedano, è importante sottolinearlo. Il reato si concretizza anche in assenza di abuso fisico. E solo l’incontro virtuale può lasciare cicatrici emotive e danni psicologici», avverte. Per questo, prosegue Guadagnini, i genitori devono sapere come i ragazzi e i bambini usano internet e conclude: «Bisogna inserire dei filtri e spiegare perché non si devono inviare immagini imbarazzanti. La via migliore resta quella dell’ascolto e del dialogo. Riflettere sull’educazione all’affettività e alla sessualità». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

N.V.

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