<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

Gozzi, il poeta delle fantasticherie Omaggio a 300 anni dalla nascita

Una delle immagini sceniche di Cecilia Viganò per lo spettacolo
Paolo Valerio
Una delle immagini sceniche di Cecilia Viganò per lo spettacolo Paolo Valerio
Una delle immagini sceniche di Cecilia Viganò per lo spettacolo
Paolo Valerio
Una delle immagini sceniche di Cecilia Viganò per lo spettacolo Paolo Valerio

Perché non è ozioso o superfluo riproporre, oggi, un interesse per il teatro di Carlo Gozzi? I manuali di storia letteraria che studiavamo a scuola ci convincevano che, nel cuore del Settecento, il teatro veramente nuovo e veramente grande era quello della riforma goldoniana, il teatro che portava, nella finzione scenica, la “realtà” del mondo, mentre il più pungente avversario di Goldoni, Carlo Gozzi appunto, con le sue critiche al realismo, all’immoralità insita nelle goldoniane simpatie illuministiche e con la difesa delle proprie “fiabe” sostanziate di evasiva fantasticheria era inevitabilmente il perdente. Naturalmente la grandezza e la vitalità del grande Goldoni restano fuori discussione, ma l’occasione del terzo centenario della nascita di Carlo Gozzi (Venezia, 1720) può ricordarci che un qualche motivo ci sarà se quelle bizzarre fiabe nelle quali Gozzi intrecciava al disimpegnato gusto fantasy (orchi, fate, statue parlanti) aspri attacchi polemici e ottusamente moralistici contro il teatro dell’avversario sono piaciute ai romantici tedeschi nell’Ottocento ed hanno offerto poi lo spunto per opere di grandi musicisti (Puccini, Prokofiev) e la possibilità di originali interpretazioni a grandi registi da Max Reinhardt a Giorgio Strehler. L’OMAGGIO. Ora, nell’omaggio di Verona a Gozzi a trecento anni dalla nascita, che ha visto concludersi ieri un convegno telematico curato da Maria Ida Biggi, Nicola Pasqualicchio e Piermario Vescovo, uno massimi esperti di Gozzi, arriva come una chicca quantomai intrigante l’evento organizzato dal Teatro Stabile di Verona e dal teatro Ristori. Domani infatti al Ristori viene registrato il video «L’amore delle tre melarance», azione coreografica in nove quadri di Renato Simoni (su musica di Giulio Cesare Sonzogno) tratta dalla fiaba omonima di Carlo Gozzi. Al piano Andrea Dindo, alla lavagna luminosa per creare effetti visivi la performer illustratrice Cecilia Viganò, di Paolo Valerio la voce recitante e la regia. L’azione coreografica del veronese Renato Simoni (di cui ricorrerà nel 2022 il settantesimo della morte) andò in scena alla Scala il 1° febbraio 1936. Accanto alla protagonista Nives Poli, danzavano, nei ruoli principali, Gennaro Corbo (principe), Regina Colombo (altra fanciulla della melarancia) e Carletto Thieben (la strega). «Questa messinscena – scrive Alfio Agostini – segnò un’isolata riapparizione alla Scala, dopo vent’anni, del vero grande riformatore del balletto moderno, Michel Fokine. Pur adeguandosi in parte a forme sceniche il meno possibile provocatorie nei confronti dell’ormai sclerotica tradizione ballettistica scaligera e italiana, Fokine offrì con questa sua tarda creazione uno dei pochi momenti artisticamente rivelanti del ballo alla Scala di quegli anni, cercando un punto d’incontro tra quella tradizione e l’era di Diaghilev». L’ALLESTIMENTO DEL 1936. La messinscena al Ristori ricalca, nella musica e nel testo che sarà proposto nella sua interezza, l’allestimento scaligero del 1936. Non ci sono danzatori. L’azione narrata da Paolo Valerio sarà “interpretata” da Cecilia Viganò con le sue “creazioni visive” in diretta. «In origine», spiega Paolo Valerio, «si pensava di utilizzare la musica di Prokofiev che avrebbe richiesto l’impiego, per quanto contenuto, di un ensemble orchestrale. Le problematiche portate dal Covid, limitare le presenze ed evitare gli assembramenti, ha fatto optare, grazie anche ai consigli di Adela Gjata (studiosa di Renato Simoni), per la musica di Sonzogno». «Quella di Gozzi è una figura fondamentale della nostra produzione culturale», dice il maestro Alberto Martini, direttore del Ristori. «Le sue fiabe hanno ispirato grandissimi artisti: pensiamo alla Turandot, di cui tutti conosciamo l’opera di Puccini, ma non tutti forse quella di Busoni che ho avuto l’onore di suonare come primo violino sotto la direzione del maestro Muti. Questa versione dell’Amore delle tre melarance che riproponiamo nel video è quella del 1936 su libretto di Renato Simoni: ebbe un grandissimo successo, fece molte repliche ma poi non fu più ripresa. la riduzione per solo pianoforte prevista da Sonzogno è poi perfetta per questo particolare momento. Voglio anche aggiungere che questo progetto ben si sposa con l’iniziativa del teatro Ristori di dare al suo pubblico contributi sul web, fruibili poi sulle più varie piattaforme. Un progetto che spiegheremo nel dettaglio a breve». La fiaba teatrale L’amore delle tre melarance di Carlo Gozzi (1720-1806), ispirata a una fiaba contenuta nel Cunto de li cunti del Basile, fu rappresentata per la prima volta al teatro San Samuele di Venezia il 25 gennaio 1761. Sempre tratta dalla fiaba di Gozzi, nel 1921, il 30 dicembre, andò in scena a Chicago (nella traduzione francese di Vera Janacopoulos) la celeberrima opera di Sergej Prokofiev L’amore delle tre melarance. Alla luce del grande successo, nel 1924 Prokofiev trasse dall’opera la suite orchestrale n. 33. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Alessandra Galetto

Suggerimenti