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LA RICOSTRUZIONE

Rapinatori silenziosi
Hanno disarmato
la guardia e poi agito

Il cartello che avvisa i visitatori del furto subito
Il cartello che avvisa i visitatori del furto subito
Il cartello che avvisa i visitatori del furto subito
Il cartello che avvisa i visitatori del furto subito

Il museo di Castelvecchio il giorno dopo il colpo più eclatante del secolo. Sparite opere per un valore ufficiale superiore ai 15 milioni di euro, ma gli esperti assicurano che la cifra è almeno del doppio. Ieri mattina alle 8 il museo ha riaperto al pubblico, come in una qualsiasi giornata. Affisso al bancone della cassa un foglio con l’elenco delle opere rubate: «Il 19 novembre 2015 il museo ha subito il furto dei seguenti dipinti» e giù l’elenco di quelle 17 opere, «non potrete quindi ammirarli, ci scusiamo per il disagio». Resterà nella storia della cultura del nostro Paese questa data. Mai prima d’ora era stato commesso un simile colpo in un museo nazionale. Il termine furto è tecnicamente improprio perchè due persone sono state spintonate, una, la dipendente comunale, non la cassiera come era sembrato nelle prime ore dopo il colpo, è stata anche legata, così come poi la guardia giurata a custodia di quei beni. E quando c’è violenza su persone quello che per opinione comune è un furto, si trasforma in rapina.

Erano le 19.30 quando i tre banditi sono arrivati alla sede museale dall’ingresso principale. Erano armati, hanno subito bloccato la donna, che ha un problema di handicap, disarmato la guardia giurata, che con la pistola puntata è stata costretta ad accompagnarli sala dopo sala, facendo un percorso a ritroso rispetto a quello del pubblico, a dimostrazione che conoscevano bene l’ambiente.

La funzione della guardia era quella di riaprire le porte che conducono da una sala all’altra. L’area in cui hanno agito i malviventi è molto ampia, va da un piano all’altro e le opere che sono state trafugate non hanno piccole dimensioni. Alla guardia della Secure Italia non è rimasto che obbedire e assistere allo smontaggio dei capolavori di Tintoretto, Rubens, Pisanello, Caroto e altri ancora.

Una delle opere individuate dai banditi, la conversione di San Paolo di Giulio Licinio è stata danneggiata nel tentativo di sradicarla dal supporto in ferro e legno che la teneva affissa al muro. La struttura non si è sbullonata così i banditi hanno afferrato il lato sinistro in basso e tirato. La tavola di legno su cui è stata realizzata l’opera s’è rotto. Sala dopo sala, nel sopralluogo effettuato ieri mattina, cavalletti per quadri desolatamente vuoti. Targhette illustrative a raccontare il vuoto. Una sensazione di smarrimento tra i visitatori e anche tra il personale che controlla nelle ore di apertura. I ladri sono arrivati alle 19.30, forse addirittura a piedi, all’orario di chiusura. Ci hanno impiegato oltre un’ora a mettere insieme il loro prezioso bottino.

Ma le immagini registrate dalle telecamere interne raccontano di banditi tranquilli, che hanno detto tre parole durante il colpo. Ci hanno messo un’ora e venti minuti a rubare e per fuggire sono saliti sull’auto privata della guardia giurata. L’allarme è scattato soltanto dopo le 20.40, quando guardia e dipendente sono riuscite a liberarsi.

In ogni sala ci sono telecamere che riprendono costantemente i visitatori. Sensori ve ne sono, ma non per i quadri, bensì per le teche, o nella sala delle armi. «Il sistema d’allarme c’è, ma non ha funzionato per la tecnica adottata dai malviventi», ha detto la direttrice del museo Paola Marini, uscendo di fretta dalla questura dove ha aiutato gli agenti nella compilazione dei verbali per la denuncia.

Chi ha agito ha dimostrato di conoscere perfettamente in quale sala cercare i quadri che erano stati commissionati per il furto. Tele non scelte a caso, ma cercate. È certo che i banditi abbiano effettuato più di un sopralluogo prima di entrare in azione mappando sala dopo sala la posizione dei quadri, il sistema con cui erano appesi ai muri o posizionati sui cavalletti.

Alessandra Vaccari

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