È durato otto ore l’interrogatorio di garanzia oggi nel carcere di Verona, davanti al gip Livia Magri, dell’infermiera di Nogara accusata di aver somministrato della morfina a un neonato causandogli una overdose. Ad assistere la donna l’avvocato Massimo Martini. La donna, racconta il suo legale, «non ha avuto cedimenti e ha ribattuto punto per punto alle accuse», chiarendo, in particolare, che la morfina «veniva gestita in forma orale senza registrazione e tutti vi avevano accesso».
Il legale ha fatto richiesta per la sua assistita degli arresti domiciliari, sui quali il gip dovrà decidere. Secondo le dichiarazioni rese dall’infermiera, che è apparsa provata ma combattiva, è stata unicamente «la sua grande professionalità ed esperienza» a consentirle di individuare immediatamente il miglior antidoto alla crisi respiratoria che il neonato aveva improvvisamente accusato.
L’avvocato Martini ha spiegato che nelle 30 pagine di interrogatorio redatte oggi vi è il racconto «di circostanze significative» che depongono a favore della estraneità della donna a quanto contestato. «È stata lei a salvare il bambino - ha ripetuto più volte il legale - non i medici». Nella ricostruzione dell’episodio fatta dall’accusa, secondo l’avvocato Martini, «vi sarebbero due ore e mezza di buco» in cui chiunque nel reparto avrebbe potuto avvicinarsi al box 1 dove si trovava il neonato e somministrargli la morfina.