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«Tutti d’accordo
per la maxi truffa
da 800mila euro»

La scheda della Guardia di finanza sull’operazione «Offerte speciali» all’epoca degli arresti
La scheda della Guardia di finanza sull’operazione «Offerte speciali» all’epoca degli arresti
La scheda della Guardia di finanza sull’operazione «Offerte speciali» all’epoca degli arresti
La scheda della Guardia di finanza sull’operazione «Offerte speciali» all’epoca degli arresti

«C’è una gravità dei reati», originate «dall’entità delle somme estorte» e «dalle modalità violente utilizzate per intimidire la persona offesa». C’è anche «il comportamento processuale» di alcuni indagati che «si sono resi latitanti dopo l’emissione della misura cautelare». E a rendere il quadro processuale ancora più inquietante «la recidiva sussistente a carico di ciascuno di essi». Anche perchè si tratta di un maxi imbroglio con tanto di accordo tra gli indagati, svoltosi tra Verona, San Martino Buon Albergo, Sona e Negrar.

Eccolo qui i passaggi chiave dell’epilogo del processo di primo grado dell’operazione «Offerte speciali» della Guardia di finanza, coordinata dal pm Maria Beatrice Zanotti. Sono tutti passi riportati nella motivazione della sentenza scritta dal giudice Raffaele Ferraro. Un provvedimento di 45 pagine che ripercorre il calvario di un imprenditore veronese, assistito dall’avvocato Luca Tirapelle, durato più di un anno dal luglio 2014 fino a ottobre 2015. Le accuse per tutti, a seconda dei ruoli, spaziano tra la truffa, il riciclaggio di danaro sporco e l’estorsione.

Un incubo vissuto con continue richieste di soldi alla luce di un investimento di 800.000 euro magnificato dagli imputati, in realtà, finto e mai realizzatosi. Fino a quando l’imprenditore ha rimesso in piedi in terra, ha capito di essersi circondato di una combriccola di truffatori senza arte nè parte e ha bussato alla porta della Guardia di finanza. Sono stati necessari diciassette colloqui della vittima con gli inquirenti per ricostruire quel giro vorticoso di assegni, provato da centinaia di riscontri bancari tra il 24 gennaio 2015 e il 7 aprile dello scorso anno. E, alla fine, quel lungo lavoro d’indagine ha portato i suoi frutti: in cinque sono stati condannati il 18 aprile con il rito abbreviato, in due sono stati assolti e per altri quattro il processo inizierà tra pochi giorni. Ora si attende il ricorso in appello di Rosario Capicchiano, Alfonso Giardino, Gaetano Garofalo, Michele Pugliese e Alfonso Aloisio, condannati a pene che variano tra i tre anni e i sei anni e dieci mesi (vedi articolo a fianco).

I FATTI. Tutto inizia nel febbraio del 2014 quando Domenico Mercurio propone a chi poi si rivelerà vittima di truffa ed estorsioni, alcune proposte di investimento. Il calabrese lo fa perchè deve risolvere una situazione debitoria di 819.000 euro proprio con il veronese. Gli investimenti proposti da Mercurio spaziavano dall’acquisto di un lotto di divani dalla procedura di fallimento di una ditta sarda per 61.000 euro per passare da una speculazione immobiliare per 280.000 euro e per finire ad un’asta di escavatori. Per l’imprenditore veronese, è l’inizio della fine anche perchè nessuno di questi investimenti si realizzerà. Inizia un vorticoso giro di assegni circolari e di soldi con l’entrata in scena di alcuni degli imputati che uno dopo l’altro si offrono di far rientrare dal credito l’imprenditore veronese dietro il pagamento della mediazione e l’esborso, quindi di altri soldi della vittima fino alla maxi cifra di 477.000 euro. In realtà, Mercurio aveva consegnato in un primo momento due assegni all’imprenditore veronese rispettivamente di 720.000 e 99.000 euro ma ambedue sono risultati scoperti.

L’ACCORDO TRUFFA. «Si ritiene che tutti fossero d’accordo nel truffare l’imprenditore per quanto emerso (nelle carte processuali ndr)», è il passaggio chiave della motivazione della sentenza del giudice Raffaele Ferraro. E ancora: «Non solo i due Giardino ma anche Capicchiano e Pugliese sapevano ovviamente che i primi non avevano effettuato alcun esborso di danaro per conto del Coatti». Le pretese di soldi si accompagnavano sempre a minacce come quella di protestare gli assegni consegnati dall’imprenditore anche per gli investimenti poi mai realizzatisi. Capicchiano era arrivato perfino a a farsi consegnare 4 assegni da 100.000 euro ciascuno dalla vittima per un’opera di mediazione in realtà mai svolta. Quegli importi non furono mai incassati dal calabrese ma l’opera estorsiva anche di Mercurio, costrinse la vittima a consegnare loro comunque 100.000 euro.

I CEFFONI. «Il C. afferma di aver subito intimidazioni e violenze e le sue dichiarazioni risultano attendibili» perchè «è stato ampiamente riscontrato e anche sulle minacce le intercettazioni hanno fornito elementi di riscontro» è un altro passaggio della sentenza. Tra le violenze, viene citato il ceffone mollato nel Natale del 2014 al centro commerciale «Ramonda» a Bussolengo da Michele Pugliese alla vittima.

Giampaolo Chavan

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