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Renato Begnoni
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Il servizio sul mensile «Il Fotografo» in edicola da alcuni giorni
Il servizio sul mensile «Il Fotografo» in edicola da alcuni giorni
Il servizio sul mensile «Il Fotografo» in edicola da alcuni giorni
Il servizio sul mensile «Il Fotografo» in edicola da alcuni giorni

«Voglio fare il fotografo, non posso essere altro che questo». Renato Begnoni, molti lettori dell’Arena, lo conoscono bene: villafranchese (è nato nel 1956), in passato ha lavorato per il nostro giornale con i suoi servizi fotografici. Ma il talento artistico non può limitarsi al campo della cronaca, per esprimersi. Sarebbe ingabbiato, sprecato. Non per Begnoni, persona mite ma energica che attraverso l’immagine reinterpreta il mondo, andando al di là dell’apparenza. Fino a entrare nella cerchia dei fotografi italiani più apprezzati.

Il mensile Il Fotografo, la rivista italiana più prestigiosa nel campo per il suo taglio culturale più che tecnico, ha dedicato all’artista villafranchese, nel numero in edicola da alcuni giorni, un servizio: «Ritratti come immagini» è il titolo, «Storie diverse nel tentativo di indagare l’essere umano e la sua tipicità» il sottotitolo. Un altro riconoscimento, dunque, a trent’anni di carriera celebrati anche con la recente mostra antologica «La percezione della vita. Opere 1985-2015» che si è tenuta con successo a Palazzo Bottagisio a Villafranca. «Il momento della ripresa da parte di Begnoni», spiega il servizio, «in uno o più scatti, giunge dopo un lungo lavoro di ricerca e di analisi. Con la stampa ha inizio la post-produzione vera e propria: non subito però, per lasciare sedimentare il pensiero. Si procede con la colorazione a mano, arrivando a quei colori saturi e sfumati che sono la cifra della sua fotografia. Ciò contribuisce a infondere potenza e vitalità alla rappresentazione».

Ciò che conta, spiega l’artista villafranchese, «è sempre stato emozionare, far sì che il mio lavoro diventasse di tutti, condividere e diffondere l’energia».

La fotografia di Begnoni diventa tanto più vera, conclude Il Fotografo, quanto più ci appare surreale, come l’ha definita Italo Zannier. Surreale perché si guarda un lavoro e contemporaneamente se ne scopre un altro, perché la visione progressivamente si amplia e finisce per includere tutti noi.

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