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La fatica fisica per fare del bene
È la croce secondo don Colato

Alcuni ospiti della struttura di Cerea durante il lavoroDon Gianluca Colato, fondatore della Madonna di LourdesL’accesso al capannone FOTOSERVIZIO DI LUIGI PECORA
Alcuni ospiti della struttura di Cerea durante il lavoroDon Gianluca Colato, fondatore della Madonna di LourdesL’accesso al capannone FOTOSERVIZIO DI LUIGI PECORA
Alcuni ospiti della struttura di Cerea durante il lavoroDon Gianluca Colato, fondatore della Madonna di LourdesL’accesso al capannone FOTOSERVIZIO DI LUIGI PECORA
Alcuni ospiti della struttura di Cerea durante il lavoroDon Gianluca Colato, fondatore della Madonna di LourdesL’accesso al capannone FOTOSERVIZIO DI LUIGI PECORA

Sempre impegnato, anche nei lavori manuali, perché «amare è spendere la propria vita per gli altri, soprattutto per quelli in difficoltà».

Questi lo stile di vita e la motivazione che animano l’apostolato di don Gianluca Colato, fondatore della comunità Madonna di Lourdes di Cerea. Nato cinquant’anni fa a Povegliano in una famiglia contadina, è entrato a 11 anni in seminario ed è stato ordinato sacerdote nel 1991.

Ha superato le difficoltà negli studi con la buona volontà, che, unita alla determinazione, è una peculiarità del carattere: ha sempre difeso le proprie convinzioni anche a costo di scontrarsi con i superiori. Ma soprattutto l’amore verso gli altri, gli ultimi, i poveri, da prete coraggioso che porta la croce per qualcosa che gli altri fanno fatica a comprendere».

Curato ad Alpo di Villafranca, a San Giacomo in Borgo Roma, a Caselle di Sommacampagna e a Cerea, quindi parroco di Aselogna e Santa Teresa in Valle di Cerea, dove ha ideato la comunità. Nel 2002 i primi passi con l’acquisto del terreno e, dopo cinque anni, il realizzarsi del sogno: la costruzione della comunità di accoglienza, in via Ca’ del Lago, a Cerea.

Nel corso degli anni si sono aggiunti chiesa, appartamenti e grotta di Lourdes. Per raggiungere lo scopo ha avuto l’aiuto di vari benefattori, che lui definisce Provvidenza, «quella Provvidenza che arriva se sei capace di distribuirla, se fai vedere alla gente come lavori». Tre anni fa ha fatto costruire un capannone di 2.800 metri quadrati nel quale ha creato gli spazi per le occupazioni dei suoi ospiti, un teatro e una sala d’incisione.

La comunità accoglie una cinquantina tra malati psichici, mamme con bambini, separati e persone che hanno conosciuto il carcere, la droga e l’alcol. Sono di tutte le età e la loro permanenza è di sei mesi ma c’è chi resta per qualche anno per mancanza di appoggi esterni. «Tra loro sono numerosi quelli che mancano dei fondamentali: alzarsi presto, lavorare, gestire oculatamente i soldi, avere fede e pregare, coltivare le relazioni umane. Mancano poi dell’amore, perché non hanno imparato ad amare né sono mai stati amati». I cardini dell’azione formativa ed educativa del sacerdote sono il lavoro e il rispetto delle regole. I malati psichici sono occupati nell’assemblaggio, gli altri nelle incombenze quotidiane, nella manutenzione degli edifici, in lavori di giardinaggio, nella coltivazione di piccoli appezzamenti agricoli di aziende del territorio.

«C’è chi si prende cura degli animali della nostra fattoria e servendo loro impara a servire l’uomo, cioè a donare la vita agli altri. Alcuni procurano legna e poi la spaccano perché così si stancano e alla sera vanno a letto senza tanti pensieri». E don Gianluca è sempre presente, non solo per coordinare, ma anche per lavorare: «in questo modo do l’esempio e, lavorando e sudando con loro, riesco a tirar fuori il loro vissuto e i loro problemi». I risultati sono positivi, ma non sempre il recupero è assicurato e «chi esce dalla comunità ogni tanto ritorna alla base. Qualcuno è riuscito a rimettersi in piedi e ripartire, altri faranno fatica. Ma per loro sono sempre un papà e li tratto sempre con dignità».

La fragilità porta alcuni di loro a deviare dal percorso. Dopo aver usato tanta pazienza, don Gianluca non accetta tante giustificazioni: «Quando uno entra in comunità, sa come la penso perché spiego subito la mia visione delle cose. In caso di scontro, prima di arrivare alla rottura, faccio entrare in azione un operatore con funzione di paciere per trovare un compromesso, che comunque presuppone sempre il rispetto delle regole». Nella gestione delle attività collaborano con don Gianluca cinque operatori («persone speciali», le definisce) e parecchi sono i volontari che aiutano nelle incombenze quotidiane. La comunità è sempre aperta alle realtà territorio. Da due anni collabora con due cooperative sociali per disabili, la «Don Righetti» di Salizzole e la «Anderlini» di Cerea. Tutte le mattine alcuni ragazzi vengono in comunità a fare attività di assemblaggio, esperienze teatrali e musicali, cura degli animali. I benefici sono evidenti tanto che parecchi non necessitano più di ricoveri psichiatrici. Inoltre la comunità ha coinvolto sette famiglie nell’affido e nell’educazione di altrettanti figli di nomadi. Don Gianluca ha mantenuto vivo il cordone ombelicale con il paese natale e con le parrocchie nelle quali è stato curato. «Mia madre Marisa, miei fratelli Stefano e Davide, i miei parenti e parecchi compaesani mi aiutano con prestazioni gratuite e donazioni. Imprenditori di Alpo e Castel d’Azzano hanno regalato il capannone e i sette carri ferroviari nei quali ricaverò appartamenti per la comunità. Altri hanno donato piastrelle, cartongesso, porte, finestre». Chi offre aiuti è affascinato dal sacerdote e dalla sua opera. Profonda è la convinzione di don Gianluca in quello che fa: «Questa è una Chiesa credibile. Abbiamo abbracciato alcune scelte di vita anche contrarie alla logica del mondo, ma questo fa parte del Vangelo, perché anche Gesù era un fuori-legge».

Giorgio Bovo

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