<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
ELENA CECCHINI

«Vi racconto
il mio Elia»

 Elia Viviani ed Elena Cecchini, abbraccio dopo una vittoria di lei
Elia Viviani ed Elena Cecchini, abbraccio dopo una vittoria di lei
 Elia Viviani ed Elena Cecchini, abbraccio dopo una vittoria di lei
Elia Viviani ed Elena Cecchini, abbraccio dopo una vittoria di lei

La prima giornata dell’omnium olimpico «vissuta davanti al maxischermo con i fans di Vallese», la seconda «da sola, a casa, sul divano, davanti alla televisione», poi, il terzo giorno, «in aereo per la Svezia per due corse nel fine settimana»: Elena Cecchini, la compagna di Elia Viviani, medaglia d’oro a Rio de Janeiro, ha «provato tanta emozione». «Non c’è tanto da dire, ha offerto una prestazione senza sbavature. Elia mi ha chiamato quasi subito, appena rientrato nel box, ma non è che abbiamo potuto dirci tanto: continuava a piangere e io, figuratevi, ero emozionata di mio. Continuava a dirmi: “Ce l’ho fatta, ce l’ho fatta”. Sicuramente, si è tolto un grande peso. È stato tutto proprio bello».

Tra le prime parole di Elia, ci sono state quelle di ringraziamento a lei e ai genitori, perché capaci di tenerlo tranquillo. È difficile?

Elia è persona abbastanza impulsiva. L’Elia di Rio e quello del Mondiale di Londra erano due persone diverse. A Londra, c’ero anch’io, era molto più nervoso. Voleva dimostrare di essere il più forte, voleva quella maglia iridata. Anche a Rio voleva la medaglia a tutti i costi, ma dentro di sè aveva una tranquillità diversa, l’ho sempre visto molto più sereno, sicuro per la qualità del lavoro svolto. E poi, rispetto a Londra, stava bene fisicamente ed era forte mentalmente.

Ha sempre detto: «Elena sa dirmi le parole giuste».

Gli ho dato qualche minimo consiglio, come quello di concentrarsi su se stesso, senza guardare a come correvano gli altri. In gara, ad esempio, si poteva notare che tutti avevano un occhio di riguardo nei confronti di Elia perché sanno che lui è molto intelligente. Allora, l’ho invitato a non innervosirsi. Elia ha perso due Mondiali perché si era innervosito in alcuni momenti. A Rio è sempre stato tranquillo. Posso dire: non dico che mi aspettassi l’oro, ma sapevo che avrebbe fatto una grande Olimpiade.

Elia ha detto: «È finito un ciclo». Lascerà la pista?

La pista gli è sempre stata dentro. In un modo o nell’altro la frequenterà ancora, ma con molto meno impegno rispetto a questi ultimi otto anni. Ne abbiamo parlato.

Cosa vi siete detti?

Sulla pista, Elia è da serie A. Lo è anche su strada, ma se vuole, in futuro, vincere una classica, tipo Milano- Sanremo e una del Nord, a cui tiene moltissimo, non può pensare di affrontare, ad esempio, un campionato del mondo su pista che, tra l’altro, nel 2017 si terrà in aprile. Nel ciclismo di oggi, non ti inventi più niente e, purtroppo, bisogna fare delle scelte. Giustamente, Elia farà quella di concentrarsi, ora, sull’attività su strada e, da parte mia, lo appoggerò quando verrà il momento.

Tra due anni, però, potrebbe cominciare a pensare anche ai Giochi di Tokyo 2020?

C’è tempo. Elia è molto riconoscente verso i giovani che hanno lavorato e lavorano con lui in pista. C’è un Consonni che sta crescendo molto bene e si annuncia competitivo nell’omnium. Elia avrà 31 anni e può essere che un Consonni più giovane meriti di andare a Tokyo. Poi, è anche vero che Hansen, dopo il titolo olimpico conquistato a Londra 2012, si è dedicato per tre anni all’attività su strada, è tornato in pista poco più di un anno fa ed è stato competitivo a Rio, col terzo posto: dimostra che, forse, non è obbligatorio fare tutto il lavoro svolto da Elia in questi anni per poter puntare al podio.

Qual è il punto di forza di Elia?

L’essere sempre, sempre, positivo. È una persona che non si abbatte mai. Ha quel momento in cui si innervosisce, ma poi guarda sempre al lato positivo: nello sport, è un grande punto di forza perché sono più le volte in cui si perde rispetto a quelle in cui si vince, le delusioni sono maggiori delle gioie. A Londra, lo scorso marzo, ha pianto sulla mia spalla perché pensava a quella maglia iridata e nell’omnium sono più le sconfitte che le vittorie: ma l’oro di Rio ripaga di tutte le sconfitte. Lo sport è così.

A Rio ha corso anche lei, nella prova su strada: è andata come pensava?

Speravo che la gara andasse in altra direzione. L’azione nella quale sono entrata era molto buona. Nel gruppo in fuga, c’erano atlete di ottimo livello. Sono contenta di esserci stata dentro. L’azione, però, è uscita troppo tardi, il margine acquisito era troppo poco e sapevo che sulla salita finale non avrei potuto reggere il passo delle scalatrici. Ma sono felice per il lavoro di squadra e la medaglia di bronzo di Elisa Longo Borghini.

Suggerimenti