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Sul monte Solane
la miniera di fossili scoperta per caso

Rilievi stratigrafici sul giacimento di fossili di pesci e piante dell’Eocene di monte Solane
Rilievi stratigrafici sul giacimento di fossili di pesci e piante dell’Eocene di monte Solane
Rilievi stratigrafici sul giacimento di fossili di pesci e piante dell’Eocene di monte Solane
Rilievi stratigrafici sul giacimento di fossili di pesci e piante dell’Eocene di monte Solane

C’è anche il giacimento del monte Solane, sopra Sant’ Ambrogio, importante scoperta scaturita da una pura casualità, in Rocce e fossili del Monte Baldo e dei monti Lessini veronesi, volume che tratta vari aspetti della geologia e della paleontologia e che è recentemente uscito nelle librerie veronesi, frutto di alcuni anni di ricerca e studio. Ne ha scritto il conservatore di geologia e paleontologia del Museo Civico di Storia naturale di Verona Roberto Zorzin, dopo che il paleontofilo ambrosiano Luigi Ambrosi ha segnalato agli organi competenti la valletta.

Ambrosi, qualche tempo fa, era entrato in una casa di un boscaiolo della zona di Monte, frazione di Sant’Ambrogio e aveva notato una piccola lastra di calcare con alcuni resti di una foglia fossilizzata. Appassionato e curioso, ha saputo che proveniva da una valletta nei pressi di monte Solane, dove fin dall’antichità si adoravano il sole e la luna. Conoscitore di Attilio Benetti, l’esperto in ammoniti e fondatore del museo di Camposilvano in Lessinia, Luigi mostrò a lui il reperto e Benetti lo giudicò interessante: così Luigi ha compiuto un sopralluogo nella valletta, dove fra il materiale detritico si è notata la presenza di abbondanti resti di pesci e di piante fossili.

Il giacimento fossilifero di monte Solane è ubicato nei Lessini e si trova a 605 metri sul livello del mare.

Da una prima ricostruzione nell’ Eocene inferiore questo ambiente era circondato da un mare profondo con un clima relativamente caldo e salinità normale.

Racconta Ambrosi: «Allora ho pensato di segnalare la scoperta a Luciano Salzani della Soprintendenza di Verona e successivamente al Museo di Storia naturale di Verona e all’Università di Padova. In primis i paleontologi di Padova Guido Roghi, Eliana Fornaciari, Luca Giusberti e Roberto Zorzin del Museo di Storia naturale di Verona sono andati sul posto per i primi campionamenti per le indagini statigrafiche. Le uscite si sono poi moltiplicate, in collaborazione anche con Cesare Andrea Papazzoni dell’Università di Modena e Reggio Emilia; gli esiti di questi sopralluoghi e i risultati delle analisi eseguite in laboratorio hanno permesso di recuperare numerose informazioni al fine di ricostruire l’antico ambiente». Questi primi risultati sono stati pubblicati sul Bollettino del Museo di Verona e all’interno di una rivista internazionale.

A Roberto Zorzin, per fare il punto della situazione, chiediamo se lo studio, vista la pubblicazione, si è concluso. «I risultati sono molto interessanti e presuppongono la necessità di aprire uno scavo paleontologico autorizzato», afferma il conservatore, dal ministero dei Beni e delle Attività culturali, «e sicuramente uno scavo del genere permetterà di recuperare numerose informazioni scientifiche che al momento sono sconosciute».

Ad Ambrosi, scopritore del sito, chiediamo invece se può dirsi soddisfatto del fatto che da una semplice segnalazione sia stato scoperto un nuovo giacimento e questo sia stato ritenuto importante tanto da mettere in calendario un futuro scavo paleontologico: «Lo sono. E molto. Coltivo fin da ragazzo questa passione. Raccoglievo i sassi colorati in riva all’Adige e con il trascorrere degli anni ho conosciuto fratel Giuseppe Perin del Don Calabria che era uno dei miei professori delle Medie e che mi ha accompagnato nelle prime ricerche e poi Attilio Benetti con cui ho approfondito le conoscenze così da poter scrivere molti saggi per riviste culturali che escono ogni anno come Lessinia, ieri,oggi,domani e la rivista Valdadige nel cuore.

Mirco Franceschetti

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