<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

«Nei capannoni svolti
lavori non autorizzati»

È stato il presidente di Valpolicella 2000, associazione attiva in campo ambientalista, ad illustrare al collegio presieduto da Sandro Sperandio la genesi dell’indagine sull’attività svolta da cinque società attive a Gorgusello di Fumane. Un’indagine partita dall’esposto che l’associazione, ora parte civile nel processo, presentò nel 2014 alla procura della Repubblica. Otto imputati, tra cui l’ex responsabile dell’ufficio tecnico di Fumane, Federico Donatoni, e l’ex sindaco Domenico Bianchi, che devono rispondere, ognuno per il proprio ruolo, di violazioni normative e comportamenti omissivi. Così per aver effettuato una lavorazione che non era possibile eseguire a Gorgusello, area vincolata, sono accusati Massimo e Andrea Michelazzi (Pietre Breonio Snc), da Stefano Marconi (Marconi snc e direttore di cava), Mauro Facciotti (Facciotti snc), Domenico Zivelonghi (immobiliare Zive Due sas) e Francesco Simeoni (Simeoni Sas).

I legali rappresentanti delle società di cavatori, tranne Simeoni, sono accusati anche di aver «attestato falsamente» di aver trasferito i macchinari per la lavorazione della pietra in un capannone a Cona di Sant’Anna d’Alfaedo. Per l’accusa lo fecero perchè non avrebbero potuto ottenere la sanatoria, visto che a Gorgusello non poteva essere effettuata se non la «sgrossatura». Ma quando nell’aprile del 2014 la Forestale eseguì il sopralluogo non trovò traccia di macchine per materiali lapidei: il capannone era interamente occupato da una carpenteria metallica.

«Il polo estrattivo si era trasformato in un’area artigianale», ha spiegato il presidente di Valpolicella 2000, da oltre un decennio attiva nella zona. «Avevamo chiesto l’accesso agli atti ma ogni volta incontravamo difficoltà e il clima all’interno degli uffici era difficilissimo. Scoprimmo che non venivano ottemperate le decisioni prese dagli uffici, ovvero di ripristino dello stato dei luoghi e rimozione di opere non consentite».

Si trattava di ordinanze firmate dal tecnico comunale Alberto Tavellin, il geometra che poi venne trasferito e sostituito per 8 mesi da Donatoni, con le quali si imponeva alle ditte (tranne che alla Simeoni Sas) il ripristino dei luoghi. E, quel che poi emerse dai controlli effettuati dalla Forestale, fu che in quella zona, dove avrebbe potuto essere effettuata solamente la prima lavorazione della pietra estratta, ma in realtà il materiale lapideo lì veniva finito e imballato, e in alcuni casi era stato posizionato sul piazzale esterno, pronto per la commercializzazione.

«Era evidente che la pietra veniva lavorata lì», ha proseguito Daniele Todesco, «dopo le nostre istanze i vigili uscirono per verificare lo stato dei luoghi», e oltre ad un problema ambientale si inseriva una discrasia a livello normativo perche la prima lavorazione presenta caratteristiche e spese diverse

E che in quel polo estrattivo venisse effettuata attività di seconda lavorazione è stato confermato dall’ufficiale della Forestale (ora confluita nel corpo dei carabinieri) che effettuò i sopralluoghi: «Abbiamo constatato che all’interno dei capannoni veniva lavorato materiale pronto per la commercializzazione». Era il 2014 ma l’ufficiale ha sottolineato che si trattava della medesima situazione riscontrata nel 2011. Ed era per sanare a quella che erano state adottate ordinanze di ripristino. Quelle emesse da Tavellin ma mai ottemperate, «sanate» attraverso la produzione di documentazione non veritiera. Perchè stando ai quei documenti presentati il marmo sarebbe stato lavorato in una carpenteria. Il processo è appena iniziato.F.M.

Suggerimenti