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«Maxi investimento fermo, faccio causa»

Lo stabilimento della Vilca a Ceraino, acquistato dalla Fassa Bortolo nell’agosto dello scorso anno per la cifra di 20 milioni di euro
Lo stabilimento della Vilca a Ceraino, acquistato dalla Fassa Bortolo nell’agosto dello scorso anno per la cifra di 20 milioni di euro
Lo stabilimento della Vilca a Ceraino, acquistato dalla Fassa Bortolo nell’agosto dello scorso anno per la cifra di 20 milioni di euro
Lo stabilimento della Vilca a Ceraino, acquistato dalla Fassa Bortolo nell’agosto dello scorso anno per la cifra di 20 milioni di euro

Da sedici mesi ci sono 42 milioni di euro fermi sul tavolo: soldi messi a disposizione da un imprenditore allo scopo di migliorare l'impatto ambientale della Vilca di Dolcè. Quasi un anno e mezzo di «lungaggini burocratiche», di «rimpalli di responsabilità» per non avere ancora, ad oggi, alcuna autorizzazione per avviare questi lavori. Paolo Fassa, presidente della trevigiana Fassa Bortolo, specializzata nella realizzazione di materiali per l’edilizia e proprietaria della Vilca, è esasperato. E ha deciso di far causa alla Provincia di Verona. Per i danni ricevuti in questi mesi, ma non solo: «Non può essere consentito che tanti sforzi delle imprese per essere competitive in Italia e nel mondo vengano vanificati da inutili lungaggini e rallentamenti che mortificano le esigenze di dinamicità del mondo dell’impresa”, spiega. Lo stabilimento della Vilca si trova a Ceraino ed era stato acquistato per 20 milioni di euro dalla Fassa Bortolo nell’agosto dello scorso anno. «Avevamo subito deciso di presentare un progetto da 42 milioni di euro alla Provincia di Verona», racconta, «con l’obiettivo di rendere gli impianti più performanti e ambientalmente compatibili. Una cifra, si badi bene, largamente superiore a quella necessaria per lo svolgimento dell’attività e destinata soltanto a migliorare le condizioni igienico ambientali della produzione, per ridurre l’ impatto acustico, attenuare le emissioni in atmosfera, sostituire il carbone, il petrolio e l’olio combustibile, fino ad oggi autorizzati, con prodotti maggiormente rispettosi dell’ambiente, incanalare e regolare le acque piovane con l’istallazione di vasche di prima pioggia e migliorare l’inserimento paesaggistico dello stabilimento». Nessun intervento indispensabile perché l’impianto acquistato era ed è autorizzato, quindi sarebbe potuto essere tranquillamente utilizzato così, come era stato trovato. Ma si trattava comunque di un investimento importante, in un momento in cui l’attenzione alle tematiche ambientali e dell’ecosostenibilitá vanno di pari passo con i profitti aziendali. E qui è iniziato il calvario. «Secondo le norme, come è giusto», racconta l’imprenditore, «le modifiche proposte devono essere sottoposte a una valutazione di impatto ambientale, attraverso una procedura che, in commissione, non può durare più di 210 giorni. Una volta presentata l’istanza una prima conferma sarebbe dovuta arrivate dopo 15 giorni: invece ce ne sono voluti 85 solo per dire che la procedura avviata era quella giusta. Il procedimento è proseguito con ripetute sospensioni, richieste di integrazioni di quanto in realtà si era già presentato, pubblicazione della documentazione da parte della Provincia, richiesta di nuova pubblicazione e, quindi, sospensioni, riavvio del procedimento e nuove sospensioni oltre che incontri con il comitato tecnico nominato». Nemmeno il parere favorevole da parte della Soprintendenza, poi convocata per rendere conto del suo giudizio, ha dato un’accelerata. Anzi, sono partiti altri incontri. In quel frangente, era il luglio scorso, Fassa aveva chiamato in causa anche il sindaco di Dolcè, Massimiliano Adamoli, che subito si era smarcato: «Il Comune ha tenuto fede agli impegni a suo tempo presi. Tuttavia, per la completa realizzazione dell’accordo mancano dei passaggi che competono alla Provincia», uno fra tutti l’autorizzazione della Via. «A quel punto ci è arrivato il preannuncio di una decisione negativa», prosegue Fassa, «ma con ulteriori richieste di integrazioni a cui abbiamo prontamente risposto, senza che si conosca ancora l’esito del procedimento. E intanto il tempo passa». Ora l’impianto sta continuando a lavorare, praticamente nelle condizioni in cui la Fassa Bortolo lo ha trovato e senza possibilità di poter intervenire per migliorarlo: «A distanza di 16 mesi siamo ancora qui. Fermi. Bloccati da un insensato rimpallo di responsabilità e di ritardiZ. Da qui la decisione «di far valere i diritti della mia impresa in tutte le sedi giurisdizionali, nessuna esclusa, e di perseguire, con i mezzi che l’ordinamento mi consente, ogni responsabilità dell’accaduto, richiedendo, altresì, il ristoro dei tanti danni patiti. L’ imprenditoria deve poter vedere nella Pubblica Amministrazione un alleato e non certo un avversario da combattere». •

Francesca Lorandi

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