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La tragedia di Negrar

L'alpinismo veronese
piange Marco, morto
travolto dall'auto

La tragedia di Negrar
Marco Marras in una foto dell’86
Marco Marras in una foto dell’86
Tragedia a Negrar

Abitavano nello stesso quartiere, negli anni Ottanta, Marco Marras e Massimo Bursi. Era il quartiere Pindemonte ed erano gli anni in cui hanno condiviso allenamenti “fai da te” sui muri dei forti austriaci oppure sulla falesia di Avesa, arrampicate sulle vie più ardue delle Dolomiti perché se non erano difficili non le volevano, levatacce per salire in giornata e tornare a valle soddisfatti inseguendo un alpinismo di velocità.

Entrambi scalatori provetti, sono stati fianco a fianco su vie rocciose nella Valle del Sarca come sulle Alpi. Entrambi premio Biasin, a un solo anno di distanza (1988 Bursi, 1989 Marras), sono parte della storia dell’alpinismo veronese che ora Marras ha lasciato prematuramente, a 51 anni, vittima di un assurdo quanto tragico incidente d’auto davanti casa, in località Masetto di Montecchio, frazione di Negrar, sulle colline che guardano verso Quinzano e Avesa.

 

Dopo anni di scalate ardite, martedì 13 febbraio di buon mattino a tradire Marras, dipendente dell’Azienda ospedaliera che lavorava al Confortini, è stato il suo fuoristrada, che l’ha travolto nel parcheggio trascinandolo nel campo vicino senza lasciargli scampo. «Una morte paradossale, per uno come lui, una terribile disgrazia» commenta Bursi, 55 anni, una vita dedicata all’alpinismo e una passione viscerale per le arrampicate che ha narrato nel libro «Flash di alpinismo. Citazioni, impressioni e immagini». «Come tutti noi che andiamo in parete, nella massima sicurezza, Marco amava la vita» continua Bursi. «Non dimentico tra l’altro che, un paio d’anni fa, durante un fortuito incontro sulle piste da sci di fondo in Lessinia, mi confidò di non essere più nel giro degli scalatori perché non voleva più prendersi alcun rischio, in montagna». Marras gli disse: «Ho già rischiato tanto, sulle pareti di roccia come su quelle di ghiaccio, ora basta». «La sua morte mi fa tanto riflettere», prosegue Bursi. «Anche perché entrambi, da ragazzi, avevamo il mito dell’arrampicatore francese Patrick Edlinger, fortissimo, che nel 2012 è morto cadendo dalle scale di casa dopo aver salito le montagne di mezzo mondo anche senza corda».

È scosso dalla morte improvvisa di Marras, tant’è che è andato a cercare il suo volto e le emozioni di allora tra le vecchie diapositive delle loro comuni imprese. «Negli anni Ottanta, poco più che ventenni, insieme a un gruppo di agguerriti abbiamo condiviso incredibili scalate, ascensioni sulla Marmolada e altrove molto difficili» spiega Bursi. «Potevamo resistere tra le 10 e 14 ore bevendo poca acqua e mangiando solo un po’ di cioccolata, per essere leggeri e tornare a valle il prima possibile in modo da ridurre il rischio. Sono stati anni bellissimi, segnati da questa passione totalizzante» continua Bursi nel ricordo dell’amico, che rivede «forte e determinato, perfetto per la scalata non solo per il fisico asciutto e la corporatura minuta ma anche per l’incredibile forza di volontà. Tecnicamente era molto bravo, ma non era solo una questione di tecnica». La comunità di scalatori veronesi, in quegli anni, «era ristretta e tutta maschile» prosegue Bursi. Ricorda però che ne faceva parte anche la moglie di Marras, Paola Marini, prima donna tra l’altro a ricevere il premio Biasin (nel 1985, dopo di lei solo altre due in anni più recenti).

 

«Fu anche la prima donna veronese a raggiungere il sesto grado, ossia il massimo livello di difficoltà» continua. Da un anno Bursi sta lavorando alla stesura di “Verona Rock Story”, un libro in cui vuole narrare la storia scaligera dell’arrampicata dal 1973 a oggi. «È da un anno che giro, parlo e cerco informazioni, soprattutto intervistando amici e compagni di avventure. Anche Marco era in lista, ma ancora non lo avevo incontrato. Ora, purtroppo, non mi resterà che tratteggiare un suo ricordo».

Sul fronte delle indagini, per chiarire la dinamica della tragedia nella quale è rimasto vittima Marco Marras proseguono gli accertamenti della Polizia stradale intervenuta sul posto, mentre si attende che la Procura dia il via libera per le esequie che dovrebbero tenersi con una cerimonia in forma strettamente privata.

Camilla Madinelli

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