Quando si decise la costruzione del monumento, i concittadini di Roverè Veronese e di San Vitale che avevano finanziato l’opera, avrebbero voluto anche il nome di Alessandro Anderloni fra quello dei Caduti.
Questa scelta avveniva anche in considerazione del fatto che i morti che vi erano iscritti non erano tutti deceduti in battaglia o a causa di malattie conseguenti alla guerra, ma di qualcuno si sapeva per certo che si trattasse di disertori morti in carcere oppure suicidatisi, o ancora uccisi dai loro superiori per insubordinazione.
Dunque se c’erano quei nomi, ci poteva stare a pieno titolo anche il nome di Alessandro Anderloni e qualcuno lo scrisse a pennello sul monumento, provocando però la reazione del commissario prefettizio Lioy, il quale andò personalmente a cancellarlo.
I paesani a quel punto per ripicca incisero il nome di Anderloni nella pietra e costrinsero così il prefetto a intervenire per cercare di calmare gli animi e soprattutto per impedire un’azione di forza da parte di una squadra fascista che aveva minacciato rappresaglie in paese.
Il prefetto ascoltò le ragioni del comitato per il monumento e dei 261 capifamiglia che avevano scritto una lettera di cui era primo firmatario don Domenico Veronesi, insegnante in paese: vi si chiedeva di lasciare tutto come stava, con i nomi di Caduti e di presunti disertori, perché erano d’accordo tutte le famiglie che avevano i nomi dei loro cari sul monumento, eccetto una.
Il prefetto si prese una pausa di riflessione ma nel frattempo che pensava, una ventina di fascisti, saliti in camion a Roverè da Verona la sera di sabato 5 agosto 1922, arrivati in piazza scesero davanti al monumento e scalpellarono via il nome di Alessandro Anderloni.
Inoltre qugli squadristi misero in bella mostra un avviso nel quale si minacciavano rappresaglie se il nome fosse tornato al suo posto.V.Z.