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Scritta la storia dell’Oratorio e della comunità nel 1719

Copertina del libro e sfilata dei Trombini di San Bortolo verso l’Oratorio della Santissima Trinità
Copertina del libro e sfilata dei Trombini di San Bortolo verso l’Oratorio della Santissima Trinità
Copertina del libro e sfilata dei Trombini di San Bortolo verso l’Oratorio della Santissima Trinità
Copertina del libro e sfilata dei Trombini di San Bortolo verso l’Oratorio della Santissima Trinità

«Oratorio della Santissima Trinità» è un agile volumetto, edito a cura dell’associazione «I Trombini di San Bartolomeo delle Montagne», stampato con il contributo del Comune di Selva di Progno e del Consorzio Bim Adige dall’editrice La Grafica di Vago di Lavagno e curato dallo studioso Massimiliano Bertolazzi. Verrà presentato domani alle 11.30 in chiesa a San Bortolo dopo la messa nell’ambito dell’annuale festa dei Trombini. Il libro rende giustizia, in una cinquantina di pagine, a un gioiello ingiustamente dimenticato, l’Oratorio sul colle all’estremità sud del paese, esistente già nel 1634 perché in quell’anno i paesani vi accompagnarono in vista il vescovo Marco Giustiniani, raccontandogli che l’edificio fu costruito da don Matteo Bernardi, già rettore di San Bortolo, che lasciò anche un legato di 400 ducati. Ma è la visita del 1719 del vescovo Marco Gradenigo, di cui Bertolazzi riporta la trascrizione, a offrire spunti inediti alla storia degli edifici religiosi e alla comunità tutta. Il parroco Gianni Andrea Anselmi racconta al vescovo che in paese vi sono 535 anime, tre sacerdoti, quattro levatrici che cita per nome e fa un inventario minuzioso delle suppellettili e dell’arredo liturgico presenti in chiesa. Parla poi delle sue entrate, delle tre processioni annuali, dell’obbligo di una sagra per la festa di san Bartolomeo, della dottrina cristiana che insegna al pomeriggio della domenica e non manca di annotare che nella stagione inclemente i fedeli «provano fatica a ridurvisi (a partecipare) a causa dell’intemperie dell’aspro clima». L’oratorio, custodito da un nipote del fondatore che però vive a Valdagno, era di proprietà di un certo Giacomo Dal Zocco, secondo la cronaca della visita che il vescovo Nicolò Antonio Giustiniani fece nel 1765. Nella descrizione che Bertolazzi fa dell’edificio è evidenziata la presunta data di fondazione, incisa sui capitelli dell’ architrave: 1613. L’ edificio è di modeste dimensioni, composto di due corpi, uno principale e l’altro affiancato e lievemente arretrato e di un locale aggiunto poi sul lato nord-ovest. Il campanile, parte integrante dell’edificio, ne forma uno dei quattro angoli, completa la chiesa «divenendo il più significativo elemento architettonico con la cella campanaria, fornita di un solo bronzo», annota Bertolazzi, fusa nel 1917 dall’azienda Cavadini di Verona. L’interno è a unica navata con resti di interessanti decorazioni pittoriche: tra i santi Pietro e Paolo, sono ritratti paesaggi con case ricoperte di canna palustre, come dovevano essere quelle coeve all’età delle pitture (XVII secolo). Un altro frammento riporta la scena dell’adorazione dei Magi. All’interno, un altare in stile barocco, datato 1703 (forse in sostituzione del primitivo), ipotizza l’autore, e una pala che è copia dell’originale custodita al Museo dei Trombini e raffigura la Trinità con san Bartolomeo, legato a una pianta, mentre subisce il martirio. Bertolazzi approfondisce la ricerca sulle firme trovate sul retro: «L’annotazione “pittor Mondin” e “pittor Campo nogara dominico” fa ritenere che i due abbiano operato, nel tentativo di abbellirla, una ridipintura e ciò appare evidente se si considerano i colori rossi nella zona alta della tavola e in particolare nei vestiti dei due «mori» intenti a scorticare il santo Bartolomeo oltreché nel bordo che incornicia il tutto». Infine, un fonte battesimale scavato in un blocco di Rosso ammonitico riporta il caratteristico fiore della vita a sei petali, antico simbolo sacro dell’area alpina. I restauri, eseguiti nel 2003, su progetto dell’architetto Libero Cecchini, hanno permesso di salvare l’oratorio dal degrado e trasformarlo nella sede morale dell’associazione dei Trombini di San Bartolomeo delle Montagne. •

Vittorio Zambaldo

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