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«Predazioni, qui cali più consistenti»

Una delle recinzioni elettriche poste a difesa degli animali sulla Lessinia
Una delle recinzioni elettriche poste a difesa degli animali sulla Lessinia
Una delle recinzioni elettriche poste a difesa degli animali sulla Lessinia
Una delle recinzioni elettriche poste a difesa degli animali sulla Lessinia

I numeri non sempre raccontano tutta la verità e anche per quanto riguarda le predazioni di lupo in Lessinia occorre fare delle precisazioni. Lo sostiene il veterinario Antonio Scungio, che con il progetto Pro-life Lessinia ha seguito nel corso del 2018 gli allevatori veronesi su incarico dell’associazione Salvaguardia rurale veneta. questa iniziativa è stata sostenuta anche finanziario, di otto Comuni dell’altopiano (Bosco Chiesanuova, Erbezzo, Grezzana, Roverè, San Mauro di Saline, Sant’Anna d’Alfaedo, Selva di Progno e Vestenanova). «I dati della porzione veronese e vicentina della Lessinia», esordisce, «vanno scorporati da quelli della parte trentina perché è evidente il grosso divario fra le due zone. È sufficiente valutare la superficie interessata dalla presenza del lupo e il numero di malghe presenti, senza contare che le predazioni, sopratutto nel periodo dello svezzamento della cucciolata, si concentrano nella zona del rendez-vous, cioè attorno all’area dove i cuccioli vengono lasciati soli fino al ritorno del branco e che è sempre stata localizzata nel Veronese». Queste premesse non smentiscono i dati sulle predazioni: «Nonostante questo», prosegue Scungio, «c’è stato un calo considerevole sia degli eventi predatori, passati da 99 a 48 dal 2017 al 2018, sia nel numero di prede, diminuito nello stesso periodo da 158 a 102, mentre in Trentino sono aumentati sia gli eventi predatori (da 9 a 12) sia le vittime, tutti bovini, passati da 9 a 13. Il calo nella Lessinia veronese è stato ben del 51,52 per cento nel corso del 2018 rispetto all’anno precedente e se si considera solo la predazione su bovino diminuisce ancora fino al 58,62 per cento», osserva il professionista. Questi risultati sono riconducibili alle scelte prese nella nostra provincia: «Le misure di prevenzione adottate in Trentino sono almeno da due anni già superate da quanto si mette in atto nella Lessinia veronese», sottolinea il dottor Scungio. Che cita a mo’ di esempio che proprio il transetto di Malga Malera, cioè la linea tracciata idealmente per effettuare il campionamento dei passaggi del lupo in quel luogo, ha messo in evidenza di essere parecchio battuto dai lupi inizialmente con una crescita di predazioni poi diminuite quando si è cominciato a gestire diversamente l’allevamento. Secondo il professionista «in Lessinia trentina le predazioni sono aumentate nonostante l'adozione delle reti elettrificate e dei recinti, mentre nel Veronese, nonostante si stravolgano le strategie classiche adottate su proposta dei vari esperti, le predazioni calano. Eppure sono gli stessi lupi». Per Scungio tra i selvatici è il camoscio quello che ha subito le perdite maggiori in termini di predazioni nonostante tutti gli ungulati siano aumentati in Lessinia del 20 per cento secondo gli ultimi censimenti e tutti gli abbattimenti previsti dal piano siano stati completati. In effetti anche la ricerca condotta in un anno a cavallo fra il 2016 e il 2017 da Paola Selva per la sua tesi di laurea, ha dimostrato che l’alimentazione dei lupi nel periodo invernale è prevalentemente di ungulati: per il 18 per cento camosci e per il 17 per cento caprioli, seguiti da cinghiali e cervi, ovviamente sempre animali di dimensioni ridotte rispetto agli adulti della specie. Scungio sui dati contesta anche il fatto che non si parli di biodiversità perduta: «Prede sono animali di classi d’età inferiore e se l’impatto su bovini di razze allevate ovunque è limitato, su duemila capi di pecore di razza Brogna che faticosamente si sta cercando di salvare dall’estinzione, la perdita di nove giovani riproduttori su un totale di 20, come è capitato a un allevatore, significa un tracollo non solo economico per i tre anni di lavoro andato in fumo. Ora il lupo c’è e finché non saranno possibile deroghe per l’abbattimento bisogna imparare a come ridurre i danni. I dati della Lessinia, per quanto in calo, sono comunque di quattro volte superiori a quello che questo territorio può sopportare, cioè il massimo di nove eventi predatori all’anno, obiettivo forse irraggiungibile, ma al quale occorre puntare», conclude. Sull’azione del dottor Scungio e del progetto Pro-life Lessinia punta anche il sindaco di Bosco Chiesanuova Claudio Melotti: «In considerazione dei risultati ottenuti», dice anche a nome dei colleghi, «quest’anno vorremmo che il progetto continuasse per ridurre ancora il rischio predazioni. Il suo lavoro e il suo ruolo è importante raccordo fra allevatori e istituzioni. Chiediamo che la Regione si coinvolga in questo e ci dia una mano insistendo più su quanto ha finora portato risultato piuttosto che su altro», conclude Melotti. •

Vittorio Zambaldo

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