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Ponti di memoria
A Marcinelle
i Belgìca d’amore

Le Falìe dopo la rappresentazione di Belgica d'Amore a Charleroi con Urbano Ciacci
Le Falìe dopo la rappresentazione di Belgica d'Amore a Charleroi con Urbano Ciacci
Le Falìe dopo la rappresentazione di Belgica d'Amore a Charleroi con Urbano Ciacci
Le Falìe dopo la rappresentazione di Belgica d'Amore a Charleroi con Urbano Ciacci

Sono stati là, nel «pays noir» (paese nero), terra di miniere e di carbone, a Charleroi e a Marcinelle, che è diventato sobborgo della città più grande, a portare la storia drammatica di Belgìca d’amore, l’ultima opera teatrale di Alessandro Anderloni messa in scena la scorsa estate al teatro Orlandi di Velo e approdata nella terra dove la «Catastròfa» ebbe il suo epilogo l’8 agosto del 1956 con 262 minatori morti, la maggior parte dei quali italiani.

È stata un’iniziativa dell’ associazione Veronesi nel mondo di Charleroi, il cui presidente Gianni De Nardi, e alcuni altri, avevano visto lo spettacolo a Velo ed espresso il desiderio di portarlo tra i discendenti dei minatori italiani rimasti in Belgio.

Così Le Falìe, l’associazione e la compagnia che ha raccontato il dramma a teatro, ha pensato non solo allo spettacolo ma anche a una messa e a un concerto.

EMOZIONI E LACRIME. «Siamo stati accolti con calore vivissimo dall’associazione Veronesi nel mondo», racconta Anderloni, «che ci ha portato la mattina in visita al museo di Le Bois du Cazier, luogo dove avvenne l’incidente di Marcinelle ed è stato commovente. È lì che abbiamo incontrato uno degli ultimi minatori, Urbano Ciacci, e abbiamo avuto il privilegio che fosse lui a guidarci per le stanze del museo. I suoi occhi si riempivano di lacrime mentre ci raccontava, sempre con la tuta, il fazzoletto rosso, il caschetto sulla testa e la lampada in mano. Urbano», prosegue Anderloni, «ha raccontato delle tremende condizioni di lavoro nelle miniere, nel caldo e nel fetore, tra polvere, unto, ratti e pidocchi. Quando siamo giunti a ciò che resta dell’ascensore, che in tre minuti sprofondava i minatori a mille metri, gli attori che nello spettacolo interpretano i minatori si sono seduti e hanno potuto immaginare cosa significhi quel gesto, non più nel teatro ma nella realtà. Il momento più toccante è stato l’ingresso nel memoriale dove si trovano tutte le immagini dei 262 morti, tra cui quella di Giuseppe Corso, unico veronese».

Alla sera, al teatro del municipio di Monceau-sur-Sambre, quartiere periferico di Charleroi dove vivono molti figli e nipoti di ex minatori, è stato messo in scena lo spettacolo. Erano presenti non solo veneti e veronesi, ma anche figli di emigranti abruzzesi, pugliesi, emiliani, calabresi, sardi e di molte altre regioni d’Italia. «È stato toccante, per noi e per gli spettatori. I sovratitoli in francese hanno aiutato alla comprensione del testo dialettale, ma ciò che davvero parlava erano i gesti e le espressioni che su quel palcoscenico sono diventati ancora più autentici. Alla fine Urbano Ciacci è salito sul palcoscenico, tra gli applausi e i pianti. La festa che ne è seguita, con la cena preparata nello stesso teatro, ha stemperato l’emozione», aggiunge il regista di Velo. La mattina successiva il coro La Falìa, di cui fanno parte anche molti attori e attrici della compagnia, ha animato la messa nella chiesa della missione cattolica di Charleroi.

È NATO UN PONTE. «È un luogo che trasuda della memoria dell’emigrazione, a partire dal carrello di miniera che si trova all’ingresso, fino all’immagine di santa Barbara protettrice dei minatori e ai molti quadri e ricordi degli italiani in Belgio. Abbiamo eseguito a fine celebrazione alcuni canti di Bepi De Marzi, Merica Merica in ricordo di tutti gli emigranti, Benia Calastoria in ricordo di chi è riuscito a tornare e molti si sono uniti al coro con gli occhi lucidi cantando Signore delle cime», aggiunge Anderloni, ringraziando la Missione italiana che ha organizzato il pranzo che è seguito e che si è protratto con canti e balli fino al tardo pomeriggio, prima del rientro.

«Abbiamo costruito un ponte di memoria e di ricordo. Ora ci sentiamo molto più legati a quei luoghi e a quelle persone. Sentono di essere italiani, lo credono e lo rivendicano, ci tengono ancor più di noi. Sappiamo che si sentono dimenticati dall’Italia, ma durante questi tre giorni hanno avuto l’occasione di sperimentare tutto il nostro affetto», conclude Anderloni.

«Belgìca d’amore» andrà in scena per altre otto volte nel teatro Orlandi di Velo a partire dal 18 luglio e poi 19, 25, 26 luglio 1, 2, 9 e 10 agosto, sempre alle 21, con prenotazione dei posti via email scrivendo a: lefalie@lefalie.it o telefonando al numero 389-0235858, tutti i giorni dalle 10.30 alle 12.30.

Vittorio Zambaldo

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