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Meno bovini nel menù del lupo

Un lupo tiene tra le zanne la sua preda: è il fermo immagine di un video girato da un cacciatore, Francesco Del Santo, nel Valon del Malera
Un lupo tiene tra le zanne la sua preda: è il fermo immagine di un video girato da un cacciatore, Francesco Del Santo, nel Valon del Malera
Un lupo tiene tra le zanne la sua preda: è il fermo immagine di un video girato da un cacciatore, Francesco Del Santo, nel Valon del Malera
Un lupo tiene tra le zanne la sua preda: è il fermo immagine di un video girato da un cacciatore, Francesco Del Santo, nel Valon del Malera

Si è chiuso il primo progetto Pro-life Lessinia voluto dall’ associazione di allevatori Salvaguardia rurale veneta in sinergia con otto amministrazioni comunali (Bosco Chiesanuova, Erbezzo, Grezzana, Roverè, San Mauro di Saline, Sant’Anna d’Alfaedo, Selva di Progno e Vestenanova), e dai commenti positivi dei sindaci è possibile che si apra una nuova fase, sempre affidata al veterinario Antonio Scungio, che in Sala Olimpica del Teatro Vittoria ha presentato i dati di sei mesi di lavoro in Lessinia per il monitoraggio degli alpeggi e la difesa del bestiame dalle predazioni del lupo. Due ore di relazione, con linguaggio chiaro, pacato, ma anche determinato in alcuni passaggi, hanno fornito un quadro completo della situazione a sei anni dalla presenza certificata del predatore sull’altopiano. Il progetto è stato sollecitato dagli allevatori che dal 2012 al 2017 avevano visto un continuo crescere di vittime e danni alle proprie aziende per colpa dei lupi. Cinque aziende, tre di Selva di Progno, una di Bosco Chiesanuova e una di Grezzana, si sono autotassate per avere un’assistenza concreta in questa situazione per almeno tre mesi, ma i sindaci hanno ritenuto che fosse doveroso contribuire per coprire parte del costo prolungando il progetto a tutta la stagione dell’alpeggio. «Non mi sono occupato della conservazione del lupo né del suo monitoraggio», ha premesso Scungio, «ma della salvaguardia del patrimonio zootecnico». In conclusione del suo lungo intervento lo ripeterà: «Ho dovuto scegliere fra biodiversità o salvare le manze. Ho preferito riportare in stalla tutta la mandria». Interessanti gli spunti forniti dal veterinario, il cui lavoro è partito da uno studio orografico del territorio esteso su 800 chilometri quadrati (compresa la Lessinia trentina e vicentina), con l'individuazione dei transetti (sentieri di passaggio dei predatori), il censimento dei lupi anche con l’utilizzo di dispositivi di foto-videotrapolaggio. «Abbiamo avuto la conferma che sono ovunque perché girano ovunque, però il problema non è il loro numero ma la loro dieta e se puntiamo su questa non servono 300 lupi per portare il panico: in Lessinia ne bastano tre». La cosa che Scungio ha sottolineato, e su questo nessuno può dargli torto, «è che quella che immaginavo dovesse essere una consulenza tecnica è dovuta partire invece dall’abc, perché gli allevatori per cinque anni sono stati lasciati soli con un patrimonio di 500 animali domestici finito nelle fauci dei predatori». Il suo lavoro è consistito nell’individuare le zone più a rischio, nell'affiancare i malghesi anche di notte perché la presenza umana abbatte dell’80 e a volte del 90 per cento il rischio di predazioni: «Mi sono reso conto che mancava una filiera chiusa: qui si portavano gli animali ma il lavoro restava altrove, con i domestici abbandonati alla mercé dei selvatici», ha rimarcato, «quindi la strategia di difesa e deterrenza più che basarsi su barriere, in cui non credo, si è basata sulla presenza delle persone». I rilievi sulle predazioni sono stati importanti per determinare le diverse tecniche di attacco (chirurgico nel branco di Slavc e Giulietta che con un solo morso ha messo a terra una manza imponente di razza Charolaise), più disordinato nell’altro branco. Sono due infatti i branchi presenti: quello storico della coppia Alpha formata da Slavc e Giulietta con un maschio adulto forse del primo parto del 2013 e altri tre soggetti (un maschio e due femmine) che hanno superato l’anno. Quest'ultimo maschio è quasi certamente la vittima delle fucilate dell’ultimo episodio di bracconaggio nel Vajo di Squaranto. Esiste dal 2016 un altro branco, quello definito del Carega, formato da 8-9 soggetti di cui tre (un maschio e due femmine) sono quelli che hanno seminato il parapiglia lo scorso anno e quest’ anno fra Campofontana e Selva di Progno: operano dunque prevalentemente in Val d’Illasi, area che il branco di Slavc non ha praticamente mai frequentato. Se questo gruppo sia originato dalla prima coppia Alpha lo dovrebbero dire il Dna, ma ci sono stati, secondo Scungio, colpevoli ritardi nell’invio alle analisi del materiale organico che era stato pur raccolto in abbondanza (50 campioni) di cui solo 5-6 sono stati ritenuti idonei per ricavare il Dna. Infine l’analisi del numero di predazioni e di vittime porta nuova luce sulla realtà dalla comparazione dei dati: sugli asini ci sono state una predazione in più (5 invece di 4) nel 2018 rispetto al 2017 (considerando i primi nove mesi) con un aumento del 25 per cento; sulle pecore 15 in più (53 invece di 38) il 39 per cento in più; drastica la riduzione sui bovini (26 invece di 69 con un -62,3 per cento e sulle capre, 4 invece di 5 con il 20 per cento in meno). In totale da gennaio a settembre ci sono state 88 vittime rispetto alle 116 dell’anno scorso, con un calo del 24 per cento. Come si spiega? «Ci sono cause dirette e indirette come la diminuzione del numero di nuovi nati o di consistenza ridotta del branco o l’età della coppia Alpha (9 anni). «Sterminare i lupi non è una soluzione», ha precisato il dottor Scungio, «perché la dispersione di nuovi individui alle porte della Lessinia è alta: un branco stabile impedisce nuovi ingressi, quelli sì pericolosi per il rischio di far impennare di nuovo il numero di predazioni». Non sono mancati i suggerimenti per migliorare e l'evidenza delle criticità: «Il 95 per cento dei bovini predati erano animali con dei problemi di tipo intestinale: il trasferimento dalla stalla alla malga crea negli esemplari più giovani degli scompensi che si riflettono a livello intestinale, sopratutto in capi che arrivano da allevamenti che in stalla utilizzano sistemi intensivi per la crescita. Molto trascurata è anche la neonatologia: il 75 per cento dei predati erano vitelli di 1-3 giorni di vita: le vacche devono partitore in stalla non in alpeggio», ha detto Scungio, riportando anche le conseguenze di un progressivo abbandono dei pascoli: «Modifica irreversibile del paesaggio e riduzione della qualità dei prodotti ricavati dal latte». Infine un appello: «Portate rispetto per la gente della Lessinia perché non so quale cittadino riuscirebbe a vivere tutto l’anno come loro, in un luogo che non è un parco giochi ma un ambiente di lavoro. Il progetto è finito e mi spiace, perché qui sono stato bene», ha concluso fra gli applausi. •

Vittorio Zambaldo

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